This section provides details for each class and property defined by Divo.
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"Ma se è così grande in te il desiderio di conoscere le nostre sventure e di sentire brevemente l'ultima sofferenza di Troia, nonostante il mio animo inorridisca al ricordo e rifugga dal pianto, inizierò."
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"Quel giorno fu il primo della morte e per primo fu /
la causa dei mali; infatti non è distolta da decoro"
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"non servata fides cineri promissa Sicheo"
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"Ch’ei non più tosto de l’achive schiere"
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"giorno e notte è aperta la porta del nero Dite; /
ma questa è l'impresa, questa la fatica: riportare su"
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"come una colomba, scivolando nell’aria quieta, plana sulla sua vita trasparenza senza muovere le ali veloci"
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"Virgilio, Eneide; introduzione e traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Torino : G. Einaudi, 1967."
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"di infatti, anime piangenti, sul far della soglia:"
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"dimore non sono assegnate [alle anime] a caso e senza giudice: / l’inquisitore [quaesitor] Minosse […] dei morti silenziosi / convoca il concilio e apprende le vite e le colpe [crimina]"
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"Le pianure piangenti così li chiaman di nome."
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"Passar gli vide e ’ndirizzarsi al vado"
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"Come una colomba improvvisamente cacciata da una caverna,
che ha la casa ed i dolci nidi nell'oscuro sasso,
si porta volando sui campi ed atterrita nell'interno
dà un gran battito di penne, poi scivolando nell'aria quieta
sfiora il limpido corso e muove le celeri ali:"
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"Che di Chiusi e di Cosa eran venuti/
Con l’arco in mano e con saette a’ fianchi."
al cor gentil rempaira sempre amore11ni
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"al cor gentil rempaira sempre amore” “foco d’ amore in gentil cor s’aprende"
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"Andrea Cappellano"
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"http://viaf.org/viaf/201761089"
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"Anna Maria Chiavacci Leonardi"
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"http://viaf.org/viaf/550152636068420050829"
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"Antonio Quaglio"
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"http://viaf.org/viaf/32087393"
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"1. cosi: come è detto nella fine del canto precedente: guidato da Virgilio fuori della tranquillità del castello, verso un luogo tutto di tenebre. L’avverbio narrativo collega direttamente e senza scosse il canto al precedente; così anche il prossimo incontro con Minosse ha in fondo funzione narrativa di transizione. Il vero attacco al canto V è infatti solo al v. 25.
Discesi: da un cerchio all’altro dell’inferno si discende procedendo verso l’abisso.
Primaio: primo (dal lat. primarius); forma arcaica, come senzai plurale di “sezzaio” (ultimo) di Par. XVIII 93."
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"100. Amor, ch'al cor gentil…: Amore, che senza dar un po' di difesa si apprende (come fuoco che trova facile esca) in ogni cuore nobile. È la famosa teoria Cortese dell'identità tra cuore Nobile e amore, forza fatale, che Francesca pone ad epigrafe della sua tragica vicenda. Si osservi che tutta la storia, dopo la terzina in cui la protagonista si presenta dal luogo dove è nata, è racchiusa in tre terzine che iniziano con la parola amor. La figura dell' anafora (o ripetizione) ritrova qui le sue radici profonde, come osservò lo Spitzer, e non ha più niente di retorico perché l'amore è di fatto la realtà che domina quella vita e la conduce alla morte.
Ma tale amore e anche subito connotato come quello che tutta una letteratura aveva esaltato e diffuso: questo amore, idealizzato nei romanzi e teorizzato nei trattati (fra cui il famoso De Amore di Andrea Cappellano), era di fatto concepito sempre al di fuori del rapporto coniugale, e precipuamente come attrattiva dei sensi.
Questo primo verso, citazione quasi letterale dell'incipit della celebre canzone del Guinizzelli che era stata quasi il manifesto della Lirica d'amore al tempo di Dante (“Al or gentil rempaira sempre amore”), se ne veda anche il v.23: “Foco d’amore in gentil cor s’apprende” e che riecheggia un verso dello stesso Dante nella Vita Nova (“Amore e ‘l cor gentil sono una cosa”), subito ci avverte, perché il riferimento è colto da tutti, che questa storia non è soltanto privata, ma si svolge in un ambito più vasto: essa chiama in causa tutto un mondo, tutta una cultura letteraria a cui pur Dante era appartenuto e che qui rivela il suo tragico errore e il suo esito di morte."
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"101. prese: cfr. Andrea Cappellano, De Amore I 3 “dicitur autem amor ab amo verbo, quod significat capere vel capi”.
Person: persona fisica, come spesso nella Commedia, la bellezza del corpo, accarezzata e rimpianta come umanissimo tratto, è tuttavia il termine a cui si ferma quell’amore che qui è protagonista."
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"102. 'l modo ancor m'offende: di questa velata espressione sono stata date, fin dagli antichi, due interpretazioni, rifendo il modo gli uni al mi fu tolta, e gli altri al prese costui del verso precedente. Noi preferiamo la prima soluzione."
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"103. ch'a nullo amato: Che non risparmia a nessuno amato di riamare a sua volta (perdona mantiene il senso del verbo latino parcere); anche questa è una concezione tratta dal De Amore di Andrea Cappellano (II 8, Reg. XXVI:”Amor nil posset amori denegare”), che fa riscontro la citazione iniziale del Guinizzelli; eppure quanta tragica intensità acquista questa consumata regola in bocca a Francesca, che per essa è per sempre colpita e condotta alla morte e alla dannazione. Per la posizione di Dante di fronte a tale concezione fatalistica, si cfr. la nota al v. 100 a fine canto. Egli non interviene mai con un giudizio; la storia porta con sé la propria tragica ragione."
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"104. del costui piacer: della bellezza di costui, piacere vale come “cosa che piace” e quindi “bellezza”. Qui il termine corrisponde a bella persona del v.101, tutte e due le volte si sottolinea fortemente che fu l’aspetto fisico a muovere questo amore.
Forte: fortemente; il mi prese … si forte corrisponde al ratto s’apprende del v. 100, ma il primo appare in veste letteraria, il secondo ha la potenza dell’esperienza diretta, e anticipa in questa prima parlata il nuovissimo modo stilistico della seconda."
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"106. Amor condusse: la terza ripresa dell’anafora non racchiude più una citazione: è la terribile conseguenza, nella realtà, di quel tragico inganno. Che da tale amore si arrivasse alla morte, già si sapeva fin dal verso 69; e più volte il tema è stato ripreso (la chiera dov’è Dido; tignemmo il mondo di sanguigno; la bella persona che mi fu tolta) fino a questo evento conclusivo ed epigrafico, che sembra racchiudere il senso di tutta la storia.
Una: una sola, uguale e comune(perché furono uccisi insieme); l’aggettivo è rilevato dal ritmo del verso (Contini). La morte comune dei due amanti era motivo classico del romanzo francese, ma qui appare nuovo ed unico, per l’unicità della persona che ne fu vittima e che ora ne è la narratrice."
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"107. Caina attende…: Caina è la zona dove sono puniti i traditori dei parenti, nel fondo dell'inferno. è questa quindi una maniera velata per indicare chi fu l'uccisore anche il modo dell'uccisione (sopresi forse per inganno o tradimento). Tale riserbo e velo è tipico del parlare di Francesca (cfr. i vv. 108 e 138)e si ritroverà in altre figure di giovani donne della commedia (si vedano le parole di Pia Purgatorio V 135-6, Piccarda Paradiso III verso 106) quasi segno della delicatezza femminile, come Dante la intese e la raffigurò."
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"108. da lor: Francesca parla per tutti e due, come fossero una persona sola; cfr. il v. 95: noi udiremo e parleremo…che sia lei sola a parlare, è detto chiaramente ai vv. 139-40.
Porte: è participio di porgere e vale “rivolte”."
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"109.Quand'io intesi: Ci sono qui ben avvertibili uno stacco e una pausa che segnano il momento di maggiore intensità, per Dante, nell'economia di questo incontro.
Offense: Gravemente colpite, ferite; non si intende qui solo della pena infernale, ma certo c'è un riferimento alla vicenda appena narrata (cfr. v. 102). Offese quindi da quella terribile morte e ora dalla pena eterna. Così intende anche il Boccaccio."
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"11. tante volte: gli antichi commentatori e le miniature degli antichi codici, intendono una lunga coda avvolta con più giri intorno al corpo; questa sembra la spiegazione più semplice e intonata al carattere grottesco di tali figure demoniache.(si pensi alle tre teste di Cerbero, ala voce chioccia e allo strano linguaggio di Pluto); Alcuni moderni pensano invece, che Minosse ripeta più volte l’atto di cingersi la coda."
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"110. china' il viso, e tanto: questo lungo silenzio di Dante a capo chino, tanto lungo che Virgilio deve riscuoterlo, racchiude il nodo stesso della storia, che in lui si riflette. Francesca ha narrato solo l'inizio e la fine: amore ci Prese… amore ci condusse a morte. Ma tutto quello che intercorse tra questi due momenti lo ha taciuto. E proprio questo, cioè come l'uomo è stato vinto è ha ceduto, qual è il segreto della illusoria dolcezza che lo ha alla fine travolto, il punto di passaggio infine dall’amore cortese della poesia al quale si è appellata Francesca (v. 100), all’amore come colpa e perdizione, è ciò che Dante chiede a se stesso e poi a lei: a che e come… (v. 119)."
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"112. Quando rispuosi, cominciai… = la ripresa sembra faticosa, come di chi si risveglia; il quando indica che dante non risponde subito (Tommaseo), quasi gli costasse fatica parlarne.
Rispuosi: per la forma dittongata, propria del fiorentino antico, cfr. puose a III 19 e nota.
Oh lasso: ohime! È la prima parola che egli può dire , dopo tanto accorato silenzio."
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"113. quanti dolci pensier: è questo uno dei grandi momenti in cui la parte più segreta e profondo del cuore umano sembra aprirsi ai nostri occhi alle parole di Dante. Egli rivela qui ciò che la teneva nell'atteggiamento descritto Al verso 110: è quella lunga storia di desiderio e sospiro che Dante ripercorreva in sè medesimo, a capo chino, e che finalmente prende voce nella dolente esclamazione, in un verso che è tra i più dolcemente modulati della commedia. Già a lungo egli aveva meditato sulla nascita di amore “non subitamente nasce amore e farsi grande e viene perfetto ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo impediscono” (conv. II, II 3); ma in questa specie di amore il nutrimento, che sembrò così dolce, porta ad un terribile esito."
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"114. doloroso passo: passo vale di solito luogo significativo di passaggio, sia in senso fisico che morale (cfr, II 12 e nota). Qui l’espressione, che propriamente è riferita al momento tragico della morte (doloroso), comprende tuttavia insieme, in senso lato, la colpa, la morte violenta e la dannazione che ne seguì. Così già intendeva il Buti: “al passo dall’amore onesto al disonesto, e dalla fama all’infamia, e dalla vita alla morte”. A ciò essi furono condotti da un lungo e dolce cammino di pensieri e desideri, nel quale non sembrava celarsi alcun male."
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"115.poi mi rivolsi…:i tre verbi (mi rivolsi…e parla’ io .. e cominciai) esprimono, come sopra, la fatica con cui Dante sembra trovare la voce per parlare a Francesca."
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"116. Francesca: è l’unico nome pronunciato in tutta la storia; dal punto di vista letterale, ci dice che Dante ha subito riconosciuto la protagonista delle ben nota e tragica vicenda; dal punto di vista poetico, quel nome resta di fatto la sola realtà del canto."
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"117.tristo e pio: addolorato e pietoso, tanto da indurmi alle lacrime. Tristezza e pietà, che ritroveremo insieme all’inizio del canto VI (vv. 2-3), quasi a riepilogare la storia, sono i titoli che danno a Dante il diritto di porre la domanda che segue."
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"118. ma dimmi: il ma dimmi introduce, come più volte nel dialogo del poema, con la domanda nuova, il motivo centrale (cfr. II 82 e nota). Qui si chiede appunto la cosa che più preme.
dolci sospiri: è la terza volta che questo aggettivo torna nel canto (dolce nido, dolci pensier, dolci sospiri) e qui ha la sia più profonda significazione: è il tempo in cui l’amore ancora non si è rivelato, tempo noto a tutti gli uomini per il suo incanto irripetibile, colto qui da Dante come ogni sfumatura dell’umano sentire; ma in quel massimo di dolcezza è racchiuso il massimo dell’inganno."
IRI: http://divo.github.io/CLedLine119
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"119. a che e come= a quale indizio e in quale occasione (Casini-Barbi).
Amore: personificazione di amore, come sopra ai vv. 100-3,personificato, come l’antico eros, potere che sovrasta l’uomo; la personificazione, tipica della poesia cortese, rientra nel quadro di quell’etica in cui fin dall’inizio si pone Francesca."
IRI: http://divo.github.io/CLedLine12
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"12. quantunque gradi : quanti sono i gradi(le balze infernali). Quantunque è aggettivo relativo
sia messa: alcuni intendono “sia inviata”( dal latino missa); ma il confronto con simili espressioni usate in VI 47 e XXIV 137 fa preferire il significato più comune di “posta”, ”collocata”."
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"120. dubbiosi disiri: non si può far qui miglior chiosa di quella precisissima del Boccaccio: “chiamagli dubbiosi, i desideri degli amanti, perciò che, quantunque per molti atti appaia che l’uno ami l’altro e l’altro l’uno, tuttavia suspicano non sia cos’ come a lor pare, insino e tanto che del tutto discoperti e conosciuti sono”."
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"121. Nessun maggior dolore: è citazione di Boezio, autore carissimo a Dante, che lo indica nel Convivio, con Cicerone , come uno dei suoi iniziatori alla filosofia: “in omni adversitate fortunae infelicissimum est genus infortunii fuisse felicem” (Cons. II 4, 2). Francesca comincia anche questa volta con una citazione, ma nelle terzine seguenti questa specie di difesa letteraria finisce col cadere, e viene infine alla luce la sua personale storia e sofferenza, pur nel riserbo a lei proprio."
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"123. e ciò sa 'l tuo dottore: cioè Virgilio, perché non altri è qui (come altrove) il dottore di Dante (cfr. il v. 70); la forma quasi antonomastica usata da Francesca non può lasciar dubbi. Si può intendere che Virgilio lo sa per esperienza propria, vivendo ora anch’egli nell’inferno, privato di Dio (“perché Virgilio era morto com’ella, Francesca, e ricordavasi della vita mondana che reputava felice”: Buti), oppure, come intese il Boccaccio e molti altri, si può pensare ad un riferimento ai luoghi dell’Eneide (II 3-4 e IV 647-705), dove si esprime un concetto analogo."
IRI: http://divo.github.io/CLedLine124-125
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"124-25:Ma s'a conoscer ….hai cotanto affetto: il movimento sintattico di questa coppia di terzine (vv. 121-6: nessun maggior dolore…ma s’a conoscer…) riprende il grande attacco del II dell’Eneide:”infandum, regina, iubes renovare dolorem…sed si tantus amor casus cognoscere nostros…” (Aen, II 3-10). La stessa struttura, con eguale anche se variato richiamo all’ Eneide, troveremo all’inizio del racconto del conte Ugolino, nell’ultimo cerchio infernale ( XXXIII 4-9). E come l’attacco, così sembrano riecheggiarsi i versi finali delle due storie, chiusi in una stessa drammatica reticenza (Poletto).
La prima radice: la prima origine, la prima occasione. Queste parole sono l’innesto dantesco nel testo di Virgilio: essa di fatto rispondono al senso profondo sella domanda di Dante, e a c ciò che tutta la storia viene a esprimere."
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"126. dirò come colui: cioè il mio dire, sarà insieme a un parlare e un piangere: cfr. XXXIII 9: parlare e lagrimar vadrai insieme; all’inizio e alla fine dell’Inferno, si rispondono le lacrime incontenibili del primo e dell’ultimo peccatore, colti nel profondo della loro tragedia umana."
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"127.leggiavamo: imperfetto con desinenza arcaica, dovuta ad assimilazione, e analogia con la prima coniugazione. Costantemente usato (VIII 31: corravam: Purg. IV 31: salavam; ecc.; cfr. Schiaffini in SD XIII, p.33 n).
Un giorno per diletto: l’inizio sembra casuale, innocuo; cfr. più avanti: sanza alcun sospetto."
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"128. di Lancillotto…: è il romanzo francese di Lancillotto del Lago, del ciclo della Tavola Rotonda, notissimo nel medioevo, che narra l’amore di lui per la regina Ginevra, moglie di re Artù. I romanzi arturiani sono ricordati da Dante nel De Vulgari (“Arturi regis ambages pulcerrime; I, X 2”)e di due almeno, il Lancelot du lac qui nominato, cfr. oltre i vv.133-4, e la mort Artu, ci sono citazioni direte nel poema. La lettura di tali romanzi rifatta in comune nelle corti e nelle case dei nobili era un’usanza molto diffusa nel secolo XII. Si tenga tuttavia presente che tutta la scena è qui immaginata, o meglio creata , da Dante stesso: cos’ lo stesso romanzo, e il passo specifico del romanzo che i due leggono insieme, è scelto “su misura”, quasi a specchio della loro determinata situazione. Stabilendo la prima radice di quella tragica vicenda una lettura, e in quella lettura, Dante viene a dichiarare ben apertamente, se le citazioni precedenti non fossero bastate, il significato centrale della storia qui narrata."
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"129. sanza alcun sospetto: si allude qui al sospetto che alcuno potesse sorprenderli, o a quello di ciò che sarebbe potuto accadere tra loro, in quella solitudine? Gli antichi commentatori sono incerti fra le due interpretazioni, ma a noi, come del resto ai più moderni, sembra indubbio che s debba scegliere la seconda. Tutta la scena risponde, infatti, alla domanda di Dante (vv.119-20) e non ha altro argomento che il momento culminante della colpa: essi non avevano alcun timore o presentimento di ciò che sarebbe accaduto, e quini non se ne guardavano (“unconscious of their danger” parafrasò il Foscolo: Edinburgh Rev. XXX, sett. 1818, p. 341); le due circostante, l’essere soli e il non stare in guardia, sono indicate insieme come attenuanti da Francesca, perché favoriscono la colpa. “chi mai fa questa osservazione” scrisse il De Sanctis “se non l’amore colpevole?”. Egli giustamente rivela in Francesca la chiara coscienza del peccato, che del resto traspare ance più evidente al v. 132. Tutt’altro che ignara, ella sa di saver violato una legge morale e tanto più profondamente umana ne appare la sua figura, nel rimpianto che più volte affiora nelle sue parole; si vedono i vv. 90 e 91, 106, 126."
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"130. per più fiate: più volte.
Li occhi ci sospinse: spinse i nostri occhi, quadi facendoci violenza, a guardare l’uno quelli dell’altro. La forza di questo verbo, come la suggestione dell’altro (scoloricci), sono i due perni fantastici della terzina e di tutta la scena."
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"131. scoloricci: ci fece impallidire; era il segno tipico dell’amore, diffuso in tutta la letteratura , ritrovabile in Dante con lo stesso verbo in Vita Nuova XVI 4 (“ quasi discolorito tutto”); per la sua codificazione, ci cfr. Ovidio, Ars amatoria I 729: “palleat omnis amans: hic est color aptus amanti”, e Andrea Cappellano, De Amore II 8, Reg XV: “omnis consuevit amans in coamantis aspectu pallescere”. Tuttavia queste necessarie e tradizionali citazioni, che diamo con qualche esitazione, non traggono in inganno il lettore, quasi fossero tasselli di un mosaico. Quanto è lontano l’oriente dall’occidente, è, infatti, lontano da tali dissertazioni teoriche il verso di Dante, che esprime nell’irripetibile forma della poesia la personale ed unica storia di un essere umano. Ben altro caso è il rapporto più volte notato con i grandi versi virgiliani (cfr. sopra le nostre ai vv. 82 e 124-25), dove assistiamo a un profondo scambio di forme poetiche, diverse e pur analoghe, tra i più sorprendenti della storia dell’umana poesia."
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"132. ma solo un punto…: questo verso, con il verbo in cui culmina, rivela l’interno combattimento già espresso in giura dai verbi sospinse e scolricci. Francesca sa che si tratta di una battaglia perduta, non di una vittoria di cui trarre vanto."
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"133. Quando leggemmo: l’attacco ritmico sembra quasi esprimere un evento definitivo e fatale.
il disïato riso :la bocca sorridente e desiderata; “la bocca che più dimostra il riso che niuna altra parte del corpo” (Buti); si veda anche Purg. XXXII 5."
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"134. basciato_ si legga baciato. La sc è grafia antica che rappresenta il suono ella c di bacio nella pronuncia toscana per distinguerlo da c di pece; così troveremo camiscia, abbrusciato, ecc. (cfr. Parodi, Tristano CXXXXVI). Tale distinzione è poi scomparsa nella grafia, quando si è livellata la pronuncia.
Cotanto: così’ nobile, di tanto valore (cfr. v. 18); nel romanzo di Lancillotto è Ginevra che lo bacia, indotta a ciò dal siniscalco Galehault (“et la roine voit que li chevaliers n’en ose plus faire, si le prent par le menton et le baise devant Galahot asses longument…”: Lancelot, ed . Micha, Geneve, 1982, VIII 115-6). In tali storie il bacio era infatti come un pegno, o investitura d’amore, dato dalla donna al suo fedele. E i presenti, in questo caso Galeotto, ne erano i testimoni. Dante ha mutato la scena, o più esattamente l’ha guardata da un altro punto di vista, quello di Francesca, per ricreare secondo la figura di lei quel momento, a tutti ignoto fuorché alla sua arte. È questa la prima delle molte volte che Dante inventa la fine, avvenuta senza testimoni, dei suoi personaggi, per il resto ben noti. Egli riplasma così tutta la loro storia, che culmina in quel momento decisivo, celato agli occhi altrui, e dove egli penetra con la violenza della propria fantasia creatrice. Si pensi ad Ulisse, Ugolino, Guido e Buonconte da Montefeltro Manfredi…"
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"135. che mai da me: l’eterno, e tragico, durare di quel momento è come il fissarsi per sempre dell’atto in cui si scelsero il loro destino. Tale è, come vedremo, il carattere dominante dell’invenzione dantesca della figura umana nell’oltretomba"
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"136. la bocca…= il profondo realismo di questo verso ,non più il disiato riso ma la bocca, e la viva intensità e serietà con cui improvvisamente prende figura concreta il tremante Paolo, insieme all’evidenza dei vv. 130-1, è la più grande novità poetica che fa per sempre di Paolo e Francesca l’esempio vivo dell’umana passione di amore. Dante supera qui d’un tratto tutta la poesia d’amore del suo tempo, e anche l’antica , nella quale forse solo Didone può in qualche modo avvicinarsi alla realtà di Francesca, portando il linguaggio ad una tale evidenza, senza perdere in nulla l’incanto della forma poetica. E tuttavia la forza di questa scena non avrebbe luogo, se essa non fosse avvolta dal senso della morte, prima annunciata e dalla pietà che le risponde alla fine."
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"137. Galeotto fu 'l libro: in quando ebbe la stessa finzione, fra oro due, che Galehault compì tra Lancillotto e Ginevra, inducendo lei a baciarlo. Cioè rivelò ad ambedue il reciproco amore fino ad allora custodito segreto (cfr. v. 120), ed esso divenne cos’ realtà. Ma questa volta il colpevole non è un uomo, ma un libro, e un libro largamente letto e ammirato a quel tempo. Sembra indubbio che Dante voglia qui a conclusione della storia, coinvolgere nella responsabilità, come ha fatto all’inizio tuta la cultura letteraria che quell’amore aveva celebrato."
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"138.quel giorno più...: torna nella chiusa il velato riserbo caratteristico di Francesca (cfr. nota al v.107) che per pochi versi si è come rotto per la violenza del ricordo."
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"140.l'altro piangëa: il pianto di Paolo accompagna il parlare di Francesca, facendo quasi dei due una sola persona (cfr. il v. 126). Ma è questo pianto silenzioso, proprio dell’uomo cosciente e nello stesso tempo schivo di parlare, che colpisce fino in fondo l’altro uomo vivo che guarda e ascolta. La pietà che già lo avevo colto all’inizio (vv. 72 e 93 )e indotto alle lacrime (v. 117) , qui lo soverchia fino a fargli perdere i sensi."
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"141. di pietade io venni men: il significato di tale svenimento è più profondo di quanto si possa credere, esso va raccolto da tutto l’andamento della storia e dell’incontro qui narrati e non ridotto a semplice commozione per una singola tragica vicenda. Non per niente questo e il solo caso in tutto l’inferno in cui Dante perde i sensi per la violenza dell’interno sentire. Egli viene meno di pietade, com’è ribadito all’inizio del canto VI (vv. 1-2); tale pietà raggiunge quindi un grado di intensità eccezionale. Essa ci appare il sugello di questo racconto, che risuona in Dante a livello profondo, coinvolgendolo direttamente; non solo la sua lunga meditazione etica, ma la sua personale esperienza elevata a comprensione di tutta la condizione umana, su cui si fonderà l’intera Commedia. Egli vede se stesso in Francesca, com’è stato ben detto, ma anche più che se stesso: è la creatura umana, nella sua dignità e bellezza, che si perde per consapevole scelta e tragico errore. Questa è la pietà che regge l’inferno-guerra de pietade (II 4-5)chiamò Dante infatti fin dall’inizio il suo cammino, la sola attraverso la quale è possibile comprendere la profondità umana e poetica."
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"142.E caddi come corpo morto cade= il verso lentamente ritmato, con la ripetizione della consonante C inziale, esprime il peso morale quasi la fatalità di quella caduta. Il Torraca cita a riscontro dalla Tavola Ritonda XLVII: “il grande dolore e la mortale novella secco è a Tristano ogni virtù e sentimento… e cadde si come corpo morto”. Il romando è preciso, ma questo corpo morto ha un’altra pregnanza: esso risponde profondamente, in funzione catartica, alla morta che segna per sempre i corpi e le anime di questi peccatori."
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"15. dicono: i loro peccati (cfr. sopra: tutta si confessa).
Odono: la loro condanna che viene pronunciata (cfr. XXVII 127).
Volte: travolte, precipitate. Come, non viene precisato. Che il verbo sia passivo è confermato dal giù sia messa del v.12; la forma sintetica del verso, racchiuso in tre verbi, incisa la velocità irrevocabile con sui si svolge l’azione."
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"16. O tu che : è la forma di apostrofe più comune nella Commedia (vocativo del pronome personale più relativo), che qui incontriamo per la prima volta, e ritroveremo in molteplici, e spesso celebri variazioni (cfr. VI 40: o tu che se’ per questo ‘nfermo tratto; XXVI 79: O voi che siete due dentro ad un fuoc; XXXII 133: O tu che mostri per si bestial segno; ecc.).
doloroso ospizio: albergo di dolore. Il linguaggio di Minosse ha una certa solennità, come si conviene a chi ricopre un’alta carica."
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"18. lasciando: sospendendo.
Cotanto: così grande, così importante (cfr. par XXXI : e la bontà che la fece cotanta). Minosse interrompe il suo compito (offizio, dal latino. officium), pur importante, alla vista improvvisa e incredibile di un uomo vivo (quado mi vide)."
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"19. guarda com’entri= fa attenzione, stai attento ad entrare
e di cui: e di chi ti fidi (come accompagnatore). Minosse come già Caronte, vuol dissuadere un vivo dall’entrare in un mondo da cui non si può uscire. Per la forma fide cfr. gride a I 94 e nota."
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"2.che men loco cinghia: che recinge uno spazio minore, cioè ha un diametro minore del primo. L’abisso infernale ha una forma di un cono rovesciato, percorso da gradini o balze dove si trovano i peccatori."
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"20. l'ampiezza de l'intrare: cfr. Matth. 7, 13: “spatiosa via est, quae ducit ad perditionem”; ma già Aen. VI 126-7:”facilis descensus Averno / noctes atqeu dies tate atri ianua Ditis”. Già la tradizione pagana dunque considerava facile l’entrante nell’Averno, ma ben difficile l’uscita:”sed revocare gradum superasque evadere ad auras / hoc opus, hic labor est” (ibid, 128-9)."
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"22. non impedir…: la risposta di Virgilio è concisa e solenne, e di andamento epigrafico. Egli ripete la frase rivolta a Caronte (III 95-6), come formula rituale che riduce al silenzio il demonio.
fatale =voluto dal fato, cioè da Dio, e quindi inarrestabile. La parola fato è usata nel senso cristiano di “volontà di Dio”, anche in IX 97 e Purg. XXXX 142,nell’ambito di quella appropriazione e trasposizione in chiave cristiana di tutti i valori e termini del mondo classico che è tipica della cultura medievale."
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"25. Or incomincian: qui comincia veramente, il verbo ce ne avverte, il canto V; si crea quell’atmosfera di profondo dolore e di concentrata attenzione che sarà prima di tutto l’episodio; dolore dei dannati che si ripercuote a fondo nel cuore del poeta: mi percuote ha qui propriamente valore acustico (cfr. VIII 65: ne l’orecchie mi percosse un duolo), ma vi si somma un significato morale. già fin qui si avverte il sorgere di quella pietà che guiderà, come controcanto al dolore, tutta la storia.
dolenti note: dolorosi suoni; cioè voci di dolore."
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"28. d'ogne luce muto : si riprende qui, come a confermare che questo è il vero inizio del nuovo canto, il verso finale del IV: è vegno in parte ove non è che luca. L’espressione muto di luce corrisponde al traslato di I 60: dove ‘l sol tace, he do alla luce un valore acustico; il mugghiare del vento che domina in questo cerchio sembra ricondurre tutte le sensazioni all’udito (Pagliaro)."
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"29. mugghia: muggisce. La prima terzina (25-7) esprime il pianto doloroso di questo cerchio; la seconda (28-30) il muggito del vento che lo riempie tutto; la terza (31-3) presenta infine allo sguardo tutta la scena, gli spiriti travolti e percossi dalla bufera incessante. Il piano degli uomini e il rompo del vento, prima solo uditi, prendono figura visibile dando all’immagine una eccezionale forza dinamica."
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"3. e tanto più dolor: e racchiude un maggior dolore. Si va così via via precisando la struttura topografica e morale dell’inferno: man mano che si scende , i cerchi sono più piccoli, ma più gravi i tormenti e quindi i peccati in essi puniti.
che punge a guaio: che tormenta in modo da provare il lamento; per guaio cfr. III 22 e nota."
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"30. combattuto : urtato con violenza, come se i venti facessero guerra al mare; questo mare tempestoso e tenebroso è la prima immagine che ci si offre del cerchio dei lussuriosi: e già vi è racchiuso e anticipato il suo significato ultimo di travolgimento mortale."
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"31. bufera : il contrappasso, cioè la corrispondenza della pena al peccato, che è la legge dell’inferno dantesco (cfr. XXVIII 142 nota), ed in questo caso di evidenza immediata: la tempesta della passione è metafora del parlar comune, che qui diventa eterna pena per chi se ne lasciò travolgere in vita; anche questo elemento di immediatezza fa parte della tempere del canto V: esso appartiene all’esperienza di tutti gli uomini, e da tutti è subito comprensibile.
non resta: non si arresta non ha riposo: “a differenza del vento naturale del mondo , che resta” (Buti). Tale carattere di eternità senza scampo sarà per tutta la cantica l’elemento più drammatico, e comune, dei vari tormenti; qui viene espresso per la prima volta, con tragica forza."
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"32. rapina: rapimento vorticoso (Casini- Barbi); il vento rapisce e tracina con sé gli spiriti loro malgrado; cfr. Aen I 58-9:”maria et terras…ferant rapidi secum” (dei venti); Conv II, v. 17: “la rapida del primo Mobile” e Par. XXVIII 70-1: costui che tutto quanto rape/ l’altro universo seco (detto sempre del primo Mobile che rapisce col suo moto circolare tutto l’universo)."
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"33. molesta: li tormenta; il verbo molestare, come il sostantivo molestia e l’aggetti molesto, ha senso molto più forte che nell’italiano moderno (cfr. almeno XIII 108, dove l’aggettivo è dentro dal suicida contro se stesso)."
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"34. ruina: l’interpretazione di questa parole è controversa, anche perché l’articolo determinativo sembra indicare cosa già nota. Preferiamo intendere, con Boccaccio e altri antichi (e oggi Mattalia e Mazzoni), l’avvolgimento del vento rapinoso che afferra e travolge i dannati (questa è infatti l’unica cosa nota a cui ci si può riferire): quando le anime vi giungono davanti, al loro arrivo nel cerchio (dopo la sentenza di Minos), si levano le grida e le bestemmie (come già nell’arrivare alla riva dell’Acheronte). Altri intende: quando nel girare attorno al cerchio giungono davanti alla foce donde spira il vento (Parodi); ma la spiegazione sembra meno giustificabile, perchè di tale foce o sbocco non si parla mai nel contesto. Un’altra interpretazione, autorevole e antica, e oggi sostenuta dal Singleton, intende ruina come una frana rocciosa di accesso al cerchio, prodotta, come altre nell’inferno, dal terremoto avvenuto alla morte di Cristo (cfr. XII 31-45 e XXI 112 sgg.): sembra tuttavia improbabile, e non accade mai altrove nel poema che dante anticipi con una sola parola qualcosa che non si solo dopo sette canti e che il lettore non potrebbe ora in nessun modo intendere; ma il ripetersi della stessa parola ruina e il fatto che con questa le ruine infernali sarebbero tre, e in tre luoghi strategici della geografia infernale (cfr. Singleton, -La poesia, pp. 475 sgg.), induce a non escludere del tutto questa spiegazione. Altri propone di accogliere la rada e poco attendibile lezione de venti a la ruina (al ruinare dei venti, cioè alla bufera vorticosa), che risolverebbe il problema (Fassani). Ma vedi Petrocchi ad locum."
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"36.virtù divina: la potenza divina; anche virtù conserva come altrove il significato latino, ad indicare l’onnipotente azione di Dio nel creato (cfr. XIX 12; Purg. III 32; ecc.) SI cfr. Apoc. 16, 9: “et plashemaverunt nomen Dei, habentis potestatem suler has plagas”."
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"37.Intesi: compresi subito, cioè al solo vedere la pena; è inutile pensare ad un complemento sottointeso (“da Virgilio”). Tanto più che nel canto III abbiamo un altro esempio evidente in cui intesi vuol dire senz’altro: “intesi da solo” (cfr. III 61)."
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"39.che la ragion…: che sottopongono la ragione all’istinto; verso dominante, quasi l’epigrafe posta in testa all’incontro con i lussuriosi (i peccator carnali), che qui vengono definiti (che non si tratti degli incontinenti in generale, come altri pensa. È stabilito categoricamente dai vv. 37-38). Di questo verso sono stati indicati più riscontri in testi contemporanei a Dante, tanto precisi da far pensare ad un espressione di uso comune, o a una fonte comune –(cfr. Tavola rotonda LXXV: “io non voglio sottomettere la ragione alla volontà”: Torraca; Tresor II 20, 6 :“car ki laisse vaincre, la raisons remaint sous le desirier”: Mazzoni; meo Abbacciavacca, Son. V 3: “e qual sommettere a voglia operazione”: Contini). Ma quello che a noi preme è rilevare l’importanza di tale definizione ai fini ella comprensione dell’episodio che essa apre, di cui ci dà la chiave di lettura. Il sottoporre la ragione all’istinto è infatti degradazione dell’uomo, che nell’uso della ragione ha la sua qualificazione specifica, che lo distingue dal bruto (cfr. Conv. IV, VII 11: “manifesto è che vivere ne li animali è sentire- animali, dico, bruti, vivere ne l’uomo e ragione usare”). Abdicare a tale dignità non può portare a rovina, come è accaduto agli spiriti di questo canto. Al dolore a alla pietà che hanno intonata l’entrata al secondo cerchio (vv 25-7) si aggiunge qui la profonda ragione etica che ne sta all’origine."
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"4. Stavvi Minos: Minosse , re di Creta, figlio di Zeus e d’Europa, era nel mito saggio e severissimo legislatore: per questo i poeti antichi lo avevano immaginato come giudice infernale, insieme a Radamanto ed Eaco. Ponendolo qui all’entrata, ad assegnare a ognuno la sua sede. Dante segue Virgilio (cfr. Aen.VI 432-3 “quaesitor Minos urnam movet, ille silentum/ consiliumque vocat vitasque et crimina discit”). Tuttavia, come farà con gli altri personaggi mitici divenuti guardiani infernali (non con Caronte, che è fuori dall’inferno, e che mantiene la sua virgiliana maestà), Dante lo trasforma in demonio con brevi ma accentuati Tratti, degradandone l’umanità. In questo primo verso l’orribilmente e il ringhia già lo caratterizzano come una . Il verso è potente ed enfatico come se portasse con sé lo stampo letterario dell’epica classica, ben presente nella principale parole che lo occupa, l’avverbio orribilmente."
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"40-3. E come li stornei: e come le ali portano gli stornelli (oggi storni) nell’inverno, in larga fitta schiera, così quel vento (Fiato) porta gli spiriti peccatori, sospingendoli disordinatamente in tutte le direzioni. Schiera vale “stormo”, mentre le gru formeranno lunga riva (v. 47). Si osservi che nell’immagine sono le ali a portare gli stornelli secondo il vento, e non la loro volontà, come gli spiriti sono menati e travolti come fuscelli dalla bufera (Landino). È questo il primo paragone del canto, e come gli altri due è tolto dagli uccelli: già questa scelta, pur trattandosi, come tutti osservano, di uccelli considerati nei testi antichi particolarmente lussuriosi, tuttavia ingentilisce e quasi nobilita gli spirti mali di questo cerchio, mentre un’altra malinconia spira da questo volo invernale e dal lungo lamento delle gru. Questa prima similitudine tende a caratterizzare il movimento delle anime, come la seconda soprattutto il lamento: “sceglie, al paragone dell’irregolare mossa data dal vento a quelli spiriti, il volo degli stornelli, perché di fatto è irregolarissimo” (Lombardi). In vari tratti medievali è descritto il volo degli storni, in dipendenza dal Plinio; forse Dante ricorda qui il De animalibus di Alberto Magno (XXIII, XXIV 104: “sturnus… gregatim volat ed compresse”) ma poteva anche descrivere dal vero una scena familiare in Toscana."
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"44.nulla speranza: l’eternità della pena, già indicata al v. 31, e dichiarata fin dall’iscrizione posta sulla porta infernale, vien qui ripetuta, nel cuore stesso dell’immagine che la descrive, con quella connotazione di pietà che regge tutta la struttura del canto."
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"46.E come i gru…:l’attacco di questa seconda similitudine è modellato sulla prima ( e come…e come…) quasi per una continuità fra questa e quella, in quel vento turbinoso ove passano davanti agli occhi di Dante le schiere delle anime. La prima immagine si riferisce a tutti gli spiriti del cerchio, travolti dalla bufera; questa indica una particolare schiera (vid’io venir… ombre) che si avanza verso Dante, in lunga fila. Come si preciserà più avanti (v. 69), si tratta coloro che a causa di amore hanno subito morte violenta. Anche questo raggruppamento rislae a Virgilio , che nei “campi lugentes” pone appunto coloro “quos durus amor crudeli tabe peredit” (Aen. VI 442). Questi spiriti sono caratterizzati dai lamenti (v.48) che tuttavia, paragonati al canto delle gru in un verso particolarmente melodioso (van cantando lor lai), acquistano una dolcezza ignota ad ogni altro lamento infernale. Il volo delle gru, che pur appare di esperienza comune, ha peraltro nobiltà letteraria, come del resto suggerisce la parola usata per loro: lai, le gru si trovano infatti in Virgilio (Aen. X 264 sgg.), Stazio (theb. V 13) e Lucano (Phars. V 716). Tutti gli elementi del canto, come tra poco l’elenco delle celebri eroine, e lo stesso paragone con le colombe, rientrano in questa matrice comune, di alta letteratura, entro i cui limiti Dante ha per sempre racchiuso la più potente e la più personale delle umane passioni.
Lai: è la parola dell’antico francese che indicava in origine un genere di composizione che narrava avventure e pene d’amore: si trova usato nella poesia provenzale, a cui probabilmente lo tolse Dante, a significare lamento , e anche il canto degli uccelli. Cfr. Purg. IX 13: tristi lai, della rondinella."
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"47.faccendo…riga: andando in fila, l’una dietro l’altra (cfr. Aen. I 393-5: “Cycnos…ordine longo”). Per questo Virgilio potrà indicare la prima della fila, tale costume delle gru è descritto da Isidoro in Etym. XII, VII 14 e da Brunetto Latini in Tesoro I 5, 27:”Grue sono una generazione di uccelli che vanno a schiera…e sempre vanno l’ino dietro l’altro”. La forma faccendo del gerundio è del toscano antico."
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"5.essamina : è il “quaesitor Minos” di Virgilio: cioè il giudice (cfr. v. 9); per la grafia con la doppia s si veda a IV 120, la nota a assalto
ne l'intrata: nell’ingresso del cerchio (cfr. Aen. VI 427:”in limine primo”),, che è anche ingresso all’inferno delle pene, in quanto tutti i dannati ai vari cerchi passano di qui, davanti a Minosse. Questo giudizio è posto all’ingresso del secondo cerchio, perché le anime destinate al limbo non peccarono, e quindi non c’è per loro l’assegnazione di pena."
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"50-1. chi son quelle…: la domanda chiede i nomi (come si vede dalla risposta) di questa particolare schiera; chi sino in genere i peccatori del cerchio, Dante lo ha già compreso (vv. 37-9)."
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"52.La prima …:è Semiramide, regina degli Assiri, vissuta nel XIV secolo a.C. le notizie di Dante dipendono dallo storico di Roma Paolo Orosio, discepolo di sant’Agostino, e fondamentale per la cultura storica dantesca. In questo caso Dante ricalca addirittura alla lettere in due versi il testo orosiano (vv 56 e 59), come altre volte fa per Virgilio. Semiramide è citata come esempio di lussuria da molti autori medievali, probabilmente in dipendenza da questo stesso passo di Orosio (cfr. Villani I 2: “Fu la più crudele e dissoluta femmina del mondo”)."
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"53.allotta:allora, parola antica usata dagli scrittore del due-trecento, sia in poesia che in prosa (Guinizelli, Angiolieri, Giamboni, Villani). L’etimologia è incerta. Se ne hanno altri esempi nel poema, ma non nel Paradiso, né nelle Rime; forse Dante la riteneva forma non conveniente allo stile alto."
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"54.molte favelle: di diversi popoli, con diversi linguaggio. Gli assiri, come dice Dante nella Monarchia, avevano sottomesso tutta l’Asia minore , tentando per primi di costruire un impero universale (Mon. II, VIII 3)."
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"55.sì rotta: così sfrenatamente dedita; anche oggi si usa “rotto” in questo senso (“rotto a tutte le esperienze”). La parola includeva probabilmente il senso della rottura del freno; cfr. Villani VIII 68: “in città rotta e sciolta” (da ogni legge)."
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"57.per tòrre…:per eliminare il biasimo in cui ella stessa accorreva, a causa del suo amore incestuoso per il figlio (“privatam ignominiam publico scelere obtexit” Orosio, ibid.)."
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"59.succedette: “Huic [Nino] mortuo Semiramis uxor successit” (Orosio, ibid.); il verso è un esempio di inversione della successione logica dei fatti, figura usata più di una volta nella commedia."
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"6. giudica e manda: i due verbi hanno probabilmente valore tecnico, secondo il linguaggio giuridico, giacchè tutta la scena è rappresentata come un vero processo. Giudica cioè stabilisce la colpa; manda cioè ordina la condanna (cfr. G. Rezasco, Dize 1881), indicando il cerchio assegnato con l’avvolgersi della coda. La spiegazione è data dai versi seguenti: a essamina le colpe corrispondono i vv. 7-8; a giudica i vv. 9-10; a manda i sequenza indivisibile nella loro ineluttabilità (si cfr. Aen. VI 567m di Radamanto: “castigatque autitque dolos subigitque fateri”): sembrerebbe preferibile quindi la virgola dopo il v. 5, e non il pinto e virgola(Padoan)."
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"60.tenne la terra…:governò la città (Babilonia) che ora governa il Sultano. Ma Babilonia assira era altra città da quella d’Egitto, come già osservato dagli antichi. Sembrando impossibile che Dante le confondesse, si è pensato che terra voglia qui dire regione, paese, e indichi quindi l’Egitto; secondo una notizia di Diodoro Siculo (Hist. II 3), Nino avrebbe infatti conquistato anche l’Egitto. Tuttavia terra, indica in Dante prevalentemente città (. Anche qui il v. 97), e Semiramide non può essere definita che alla sua specifica e celebre sede."
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"61-2 colei che s'ancise amorosa: che si uccise per amore, e mancò alla promessa di fedeltà fatta alle ceneri dello sposo Sicheo (“non servata fides cineri promissa Sicheo”: Aen IV 552). È un altro ysteron proteron, usato questa volta per mettere in primo piano la morte violenta dell’eroina, la sola morte ricordata di tutti i personaggi di questa schiera. Si tratta infatti di Didone, che più oltre darà addirittura il nome alla schiera stessa (la schiera ov’è Dido, v. 85), per la forza emblematica che la sua figura portava con sé. La grande storia virgiliana dell’amore fra Eena e Didone, che occupa il IV dell’Eneide, conclusa con l’abbandono da parte di Enea per seguire il suo alto destino e la tragica morte della regina, era considerata nel medioevo come allegoria del contrato tra ragione e passione nell’uomo, contrasto già indicato in testa a questo episodio. Dante stesso così lo interpretava nel Convivio, offrendoci un’altra preziosa chiave per leggere questo canto (Conv. IV, XXVI 8). Ricordiamo tuttavia che la grandezza e la novità poetica del testo virgiliano, testo che è l’unico precedente citabile di questo canto dantesco, sono certamente la prima ragione del forte rilievo che tale storia e tale figura vennero ad assumere per Dante. E non ripete egli forse, nelle sue grandi storie infernali, di cui questa di Francesca è la prima, la stessa impresa che egli ammirava in Virgilio, che in un’opera altamente umana e poetica racchiudeva senza residui come tutta l’esegesi medievale intende, un profondo valore etico?"
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"63. Cleopatras: la regina d’Egitto, amante di Giulio Cesare e poi di Antonio, morta suicida per non cadere nelle mani di Ottaviano vincitore, era altro tradizionale esempio di lussuria. La sua tragica morte per opera di un serpente è ricordata in Par. VI 76-8."
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"64. Elena: è l’eroina dell’Iliade , la moglie di Menelao, il cui rapimento da parte di Paride provocò la guerra di Troia.
Per cui tanto reo…: per cui passò un così lungo tempo luttuoso, cioè la guerra di Troia, dura dieci anni (ma la spiegazione letterale mortifica la straordinaria forza epica dell’espressione); si noti come il si volse richiami il volgersi dei cieli, fatale misura del tempo. Come si vede, Dante accumuna persone storiche con eroi della grande poesia, senza alcuna distinzione, le prime quattro figure, tutte femminili, sono alternate tra la storia e la letteratura. Il testo virgiliano, come quello omerico, valgono per lui quando i testi di Libio, Orosio o altro storici, come appare chiaramente in Mon. II, III, IV. Perché al fine della comprensione degli eventi umani , che è il solo che gli prema, per lui la poesia vale come la storia, e viceversa. Che è meno arbitrario di quando ti possa credere. Egli cerca infatti, come tutta la sua opera rivela, non il documento, ma l’exemplum, dove poesia e storia vengono a coincidere."
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"65.Achille: l’invincibile eroe greco dell’Iliade ,di lui si narrava nella leggenda tramandata da Servio (ad –Aen. III 321)- e non da Ovidio, come affermano molti commenti, e diffusa dal Roman de Troie, che vinto dall’amore di Polissena, figlia di Priamo, fosse ucciso a tradimento dal fratello di lei Paride."
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"66. che con amore…: che dopo aver sempre combattuto con gli uomini, alla fine dovè combattere con l’amore, e vi perse la vita; l’uccisione di Achille per mano di Paride ricordata in questo verso sembra richiamare il nome che subito segue.
Combatteo: combatté; per a desinenza arcaica – eo cfr, nota a IV 144."
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"67.Paris: Paridem figlio di Priamo e rapitore di Elena, ucciso da Filottete. Si deve escludere di intendere qui l’omonimo cavaliere medievale amante di Vienne, perché il romanzo a loro intitolato è posteriore al tempo di Dante (Renucci). Del resto Paride è sempre ricordato con Elena negli elenchi di eroi e di amanti antichi (cfr. anche Tresor I 28,4).
Tristano: il più famoso cavaliere della tavolo Rotonda, storie del romanzo che da lui s’intitolava; nipote di Re Marco , si innamorò di sua moglie Isotta, e perciò fu ucciso dallo zio. Il suo nome, unico citata fra gli eroi moderni, era forse il più prestigioso tra quelli dei romanzi medievali, e quasi emblematico della passione d’amore colpevole. Esso serve da ponte fra gli antichi cavalieri del mondo classico e la moderna storia che si sta per narrare.
Più di mille: indica un numero grande e imprecisato (cfr. VIII 82; Ix 79; ecc.)."
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"69.ch’amor…: che amore fece dipartire da questa nostra vita (le plenoastico), cioè condusse alla morte, sono le anime appartenenti a questa particolare schiera, tutte morte a causa d’amore (cfr. le note ai vv. 61, 63 , 64, 65, 67; di Elena si narrava che fosse stata uccisa da una donna greca, per vendicare il marito morto nella guerra di Troia; di Semiramide, che fosse morta per mano del figlio stesso di cui si era innamorata). S’introduce così , dopo il dominante tema etico (v. 39), il motivo centrale della morte, ad esso strettamente connesso: alla morte infatti, fatalmente trascina la passione d’amore quando ad essa venga sottoposta la ragione. Si intende ora la funzione di questo elenco di nomi emblematici, che tutti risonavano profondamente nell’animo del lettore di allora. La condanna morale che li accompagna (a vizio di lussuria… ruppe fede… lussuriosa…reo tempo), la loro condizione (sono tutti regine e principi) e la loro tragica fine, già esprimono la terribilità di questa passione umana che tutti travolge, e insieme la precisa responsabilità dell’uomo dotato di ragione e libertà che ad essa può resistere. Si osservi che i nomi dell’elenco sono in massima parte letterari. Già abbiamo detto come l’amore della letterature, l’amore cantata in poesia , domini tutto il canto V, e il racconto di Francesca ne sarà la massima prova. L’elenco, che non per niente già da solo, coi nomi delle donne, e dei cavalieri, porta Dante allo smarrimento per pietà (v. 72), è quindi ben altro che fredda rassegna, e nemmeno motivo pittorico e musicale (Momigliano), ma elemento strutturalmente fondamentale e decisivo di tutta questa poetica."
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"7.Dico che: formula esplicativa: le due terzine seguenti spiegano infatti esattamente i vv 5-6.
l'anima mal nata : disgraziatamente nata; tale che sarebbe stato meglio per lei non nascere (cfr. Matth 26,24); già nella Vita Nuova (XIX, Donne ch’avete 27). Dante usa questo termine per i dannati altre volte all’inferno. Al contrario Dante stesso, destinato al cielo, sarà chiamato Ben nato in Par V 115."
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"70.comincia qui la seconda parte del canto (anche dal numero di versi il canto è esattamente diviso in due, con questa terzina di sutura), che è il cui vero cuore e ragione d’essere; la storia di Francesca. Ma la prima ha, come vedremo, la funzione di intonare e preparare, come per avvicinamento, nei suoi temi fondamentali, la grande vicenda umana, tragica e pietosa che qui ha inizio. Dante non fa caso, come corona e sfondo a Francesca, i più grandi nomi dell’umana poesia. Anche l’ignota Francesca sarà destinata a far parte, non ultima, di quella fila."
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"71.Nomar: nominare
Cavalieri: anche gli antichi eroi epici sono chiamati con nome degli eroi dei romanzi medievali; essi di fatto tali diventavano nelle molteplici leggende del ciclo classico. Ma la parola indica soprattutto che per Dante non c’era fra essi, come figure letterarie, nessuna differenza. La coppia donne e cavalieri , che tornerà in Purg. XIV 109, è stata ripresa e immortalata dal celebre attacco ariostesco."
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"72.pietà mi giunse: mi giunse, mi colse pietà; al centro del canto, all’inizio della storia risuona questa parola, che tornerà alla chiusa (v 140) e che tutti hanno riconosciuto, per primo Foscolo, come fondamentale nell’ispirazione e nel tessuto di questo episodio. Essa porta tutto il senso pieno e profondo del termine, e che vuol dire compassione, e non altro – non turbamento o perplessità , come è stato proposto (Sapegno) o si perde il grande drammatico valore di tale espressione posta all’inizio e alla fine del racconto. Fra l’altro, la lettera ci costringe: la parola non può avere altro senso al v. 93 (pietà del nostro mal), e sarebbe impensabile, nel giro di pochi versi , un tale cambiamento di significato di un termine che è , come appare evidente, essenziale nella storia.
E fui quasi smarrito : andai fuori di me, quasi persi i sensi per la forza di quel sentimento. Tale forza lo vincerà del tutto alla fine del racconto di Francesca (vv 140-1)chiudendo così il cerchio della pietà che qui si apre. Ricordiamo che smarrito è vocabolo che in Dante ha valore di grande intensità oggi perduto (cfr. Par. XXXIII 77)."
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"74.che 'nsieme vanno: è un fatto eccezionale, in questa fila di anime singole: per questo Dante ne è attratto; quell’amore ,come si dirà oltre (v 78) era tanto forte che li tiene ancora uniti nel castigo, come insieme li condusse a morte (v 106). Ma non si tratta qui di un alleggerimento della pena, come a volte si è detto. In quello stare insieme è fissata e perpetua la tragica scelta che essi fecero e che li ha perduti. Come in tutto l’inferno dantesco, l’uomo è fermato nell’atto. Fisico e morale, che decise la sua sorte eterna, e in ciò lè la sua più profonda condanna (cfr. XIV 63-6)."
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"75.leggieri: questo aggettivo oltre al senso proprio che è riferito al peso (cfr. Purg. XII 12), acquista anche il significato di “agile”, “spedito” (I32; XXI 33) fino a quello di veloce (Purg. XXIV 69). Esso qui indica che i due spiriti appaiono travolti e trascinati dal vento infernale, quasi non avessero peso. Alcuni antichi videro in questo una connotazione di maggior pena (“erano più veloci, perché erano più tirati dal vento cioè avevano maggior pena”: Landino, Vellutello). Noi diremo piuttosto che ciò significa in modo evidente la singolare fatalità di quella passione (come non vi resistettero e si abbandonare in vita, cos ora si abbandonano al vento), ma il modo di rappresentare è ancora ina volta delicato, più avanti essi saranno paragonati a colombe, mantenendo quella connotazione di gentilezza che nessun lettore potrà mai togliere alla storia di Francesca."
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"78.i mena: li mena, I pronome di terza persona plurale accusativo, dell’uso fiorentino arcaico, s trova sporadicamente nei poeti antichi, e nel poema (cfr. VI 87; VII 53; XVIII 18 e altrove). Si osservi che qui la bufera è identificata, senza residui, con quello amor che in vita travolse le due anime (Poletto)."
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"80.O anime affannate: angustiate (affanno indica quasi sempre nella Commedia pena e tormento, insieme fisico e morale; cfr VI 58; Purg. XVIII 136; ecc.). questa sola parola, nella breve frase di Dante, è tanto forte che spingerà le due anime a venirgli incontro (v. 87) e poi a dirgli quanto vorrà sapere, perché ha avuto pietà di loro (v. 93). Sembra quindi per lo meno prudente affermare che non sia il caso di vede qui “una particolare sfumatura di pietà” (Sapegno), quando solo così si possono intendere i due versi 87 e 93. Qui si va configurando il grande linguaggio della maggiore poesia dantesca, dove ogni parola ha il suo profondo valore, dove tutte sinteticamente colto ed espresso: perdere anche una sola nota di questa musica può portare a fraintenderla. Molti critici hanno osservato che Dante elude il consiglio di Virgilio (vv. 77-8), impostando a suo modo la domanda. Egli non ha questo per “più fine intuito psicologico” (Mattalia), ma proprio perché il rapporto che egli vuole stabilire con quelle anime non più fondarsi su quell’amore, ma soltanto sulla propria pietà."
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"81.a noi: a parlare a noi, noi è dativo dipendente da parlar.
S’altri: cioè Dio; Dio non è mai nominato dai dannati (tranne una sola volta, in forma blasfema a XXV 3); cfr. per una simile espressione XXVI 141: com’altrui piacque."
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"82.Quali colombe: la similitudine, che interviene prima che i due spiriti si muovano e parlino, così da connotare in anticipo l'aspetto e il movimento, risente, non a caso, della dolcezza Virgiliana della sua origine (“qualis spelunca subito commota columba/ cui domus ed dulce latebroso in pumice nidi, / fertur in arba volans…mox aere lapsa quieto/ radit iter liquidum celeris neque commovet alas”: Aen. V. 213-17). Ma spogliata di molti dettagli è accresciuta di due parole essenziali, disio e voler, che danno un carattere umano a quel volo (Parodi), essa solleva il tono, nella bellezza del suo perfetto giro ritmico e figurativo, preludendo al momento centrale del canto. Della dolcezza e gentilezza, qui presenti anche nella andamento melodico del ritmo, di cui Dante circonda finita principio Francesca, già abbiamo detto. Qui compare potente nel verso quel di Disio che avvolto di dolcezza e poi la prima origine di tanto dolore e rovina (cfr. vv. 113-4). Esso risponde, pur in questa soave figura, al talento del verso definitorio inziale (v. 39), tragicamente anteposto alla ragione umana."
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"83.alzate e ferme: corrisponde al virgiliano “radit iter.. neque commovet alas”, con un po’ più di fermezza e decisione; è il volo planato dell'arrivo, ritratto con la precisione con cui sempre lo sguardo di Dante coglie gli aspetti della natura.
dolce nido: l’aggettivo virgiliano (“dulces…nidi”) che torna altre volte nelle immagini dantesche degli uccelli (cfr. Par. XXIII 2: posato al nido de suoi dolci nati), risuona qui quasi tragicamente: esso si ripeterà più volte(dolci sospiri v 118) quasi ad indicare che in quella dolcezza è racchiuso un terribile inganno."
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"87.si forte fu…: si veda sopra la nota al v. 80; la forza di quel richiamo sta nell’affetto che lo pervade, e che le anime hanno subito colto. Si noti la bellezza di questo semplice verso, fatto di tre parole ascendenti, che traverso la maligna aria infernale con la forza di quel grido pieno di pietà"
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"88.Animal: essere vivente, animato (cfr. II 2; Purg XXIX 138, Par. XIX 85).
grazïoso e benigno: cortes e benevolo (“grazia [è] dolce e cortesemente parlare”: Conv, IV, XXV 1); che tale appari dalle tue parole verso di noi. Sono le prime parole di Francesca. Il primo verso che pronuncia è pervaso di gentilezza, diffusa da queste due parole che ella rivolge a Dante."
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"89.perso: oscuro, nereggiante: “lo perso è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero e da lui si dinoma” (Conv. IV, XX 2); si riecheggia dunque qui l’aura nera del v. 51; e quella sanza tempo tinta di III 29. Perso era vocabolo tecnico dell’arte dei tintori (vuol dire infatti “persiano”, cioè colore proprio dei tessuti orientali) come sanguigno al verso successivo. I due termini in sede finale sembrano quasi stringere i due versi in un’altra specie di rima(Contini, Un’idea p. 130)."
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"9.conoscitor:nel linguaggio giuridico indicava il giudice(cognitor), come “conoscere” voleva dire “giudicare” (cfr. G. Rezasco, Dinizionario, cit., p. 266).
Peccata: plurale neutro latino passato in italiano antico al femminile, secondo un uso frequente, come la fata di IX 97 o le fora di Purg XXI 83. Era forma molto diffusa, forse per influenza del linguaggio liturgico."
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"90.noi: tutte le anime di quella schiera, morti uccisi o suicidi.
che tignemmo: che col nostro sangue tingemmo il mondo di rosso; l'immagine porta con sè il termine proprio dell'arte tintoria ("tinger lagna in sanguigno") termine che d'altra parte richiama il sangue versato in quelle morti: stretto circolo della fantasia e del linguaggio, proprio dei momenti più intensi di quell'arte. Qui già prende voce in Francesca l'amaro rimpianto per quella sua morte che le è sembrato insanguinasse il mondo intero, e si intona sul tuo vero registro quella storia che apparve così piena di dolcezza."
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"91.se fosse amico: e quindi potesse ascoltarci. Questa preghiera per assurdo. già di per sè illogica, perché racchiude un rimpianto inammissibile in un dannato è il secondo tratto che caratterizza Francesca: è un'innata delicatezza che non sia perduta, e che vorrebbe rendere in qualche modo la cortesia che ha ricevuto (v. 93). La forza drammatica di quel se, in cui si fa presente la "coscienza dell'inferno" non sfuggì al De Sanctis, pur nella sua idealizzazione di Francesca: "le esce di bocca la preghiera ma condizionata con un se, congiungendovisi immediatamente la coscienza dell'inferno e come Dio non è più il suo amico, ed ella non ho più il diritto di volgere più a lui la preghiera". (Lezioni e saggi p 644)."
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"92.de la: per la: è latinismo per introdurre il complemento di argomento, normale in antico dopo il verbo pregare.
Pace: è quanto di più grande possa chiedere Francesca, che pace non avrà mai: non a caso questa parola tonerà nel suo dire al v. 99, come segreto motivo di fondo di queste terzine."
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"93.hai pietà: in questo verso si rivela compiutamente il senso preciso e profondo della parola che intona e chiude la storia; Francesca vorrebbe dare a Dante qualcosa, la più preziosa cosa che l'uomo possa avere, perché egli ha avuto pietà (non certo perplessità!) del suo perverso crudele male. Egli che viene dal mondo dei vivi si è messo cioè sullo stesso piano di lei, che per un attimo, grazie a quella pietà, esce in certo senso dal chiuso cerchio infernale (si cfr. i vv. 95-6).
Perverso: “chi fuori di debito ordine è piegato” (Conv. III, XV 14), cioè malvagio, il termina ha qui probabilmente lo stesso valore, con altra forza e precisione, di maligno al v. 86 o malvagia in III 107, come connotazione di tutto ciò che è infernale."
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"96.mentre che: fino a che, presuppone una paura momentanea, che non potrà durare per molto.
ci tace: Qui tace; l’uso di CI enclitico e proclitico come avverbio di luogo comune nel poema. Che il vento taccia in quel luogo (ma non altrove) per un certo tempo, per permettere il colloquio, rientra nella norma delle eccezioni fatte per Dante durante il suo viaggio; ed è naturale che Francesca lo noti come fatto non comune. Altri intende CI come dativo di vantaggio (tace per noi) basandosi sul richiamo Virgiliano: "et nunc omnes tibi stratum silet aequor" (Ecl. IX 57). Meno forte la pur autorevole lezione di Si tace (più agevole e bella all'orecchio di noi moderni è sostenuto da Gmelin, Pagliaro e Sapegno) sia perché lectio facilior, sia perché quella bufera, è stato detto in modo categorico, mai resta."
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"97.Siede: è situata la terra di Ravenna che nel Medioevo sorgeva ancora vicino al mare. Quasi sempre nella commedia le anime, indicano per prima cosa la loro patria d'origine quasi essa le caratterizzi in modo eminente come punto di riferimento sulla terra (così Virgilio: I 68-9). Qui comincia la storia condotta, per brevi tratti, in solo quattro terzine. Francesca, figlia di Guido il Vecchio da Polenta, signore di Ravenna, sposò nel 1275 Gianciotto Malatesta, signore di Rimini; il matrimonio doveva suggellare la pace tra le due famiglie, a lungo rivali. Ma Francesca di innamorò di Paolo, fratello del marito, e questi li soprese e li uccise entrambi. Il fatto, databile tra il 1283 e il 1285 al tempo quindi della giovinezza di Dante, ebbe probabilmente larga eco tra i contemporanei e in particolare in Firenze, dove Paolo era stato capitano del popolo nel 1282. Non ce n’è rimasta tuttavia alcuna traccia all’infuori del passo dantesco, e da questo sembrano dipendere tutti gli antichi commentatori. Il Boccaccio racconta che Francesca fu ingannata, avendo creduto di dover sposare Paolo, e trovandosi poi sposa dello sciancato Gianciotto (“ciotto” cale appunto zoppo, sciancato); ma si tratta evidentemente di una leggenda , prima di tutto perché qui non se ne fa cenno e poi perché Paolo risulta spostato dal 1269. Si è supposto (Mattalia) che Dante abbia scelto questo esempio in polemica contro i Malatesta, da lui bollati come tiranni e traditori XXVII 76-90- ma si noti che qui non si fa alcun nome, tranne quello di Francesca, ed è risaputo che Dante non tace i casati e le famiglie quando vuole che siano riconosciuti; anche Paolo e Ginaciotto non sono nominati, e nemmeno le due città, come se tutto avvenga soltanto in funzione di colei che parla. Questo velo steso sui nomi ha certamente un suo significato (e cioè che la storia, crediamo, non ha alcun riferimento politici, ma solo all’individui, Francesca, emblematico per tutta l’umanità) e sembra prudente rispettarlo; è del resto difficile poter cogliere il perché di una scelta che è racchiuso, come molti altri nella Commedia, nell’alta fantasia che la compì."
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"99.per avere pace: per trovare riposo nel mare. Tale immagini con il mare come luogo di pace a cui muovono i fiumi nella loro corsa, che si intende inquieta, quasi metafora della vita umana, che qui rivela il profondo e inappagabile sospiro di Francesca, tornerà nel Paradiso, dichiarando il suo significato trascendente, nelle parole di Piccarda, che risponde a Francesca, definendo per sempre il valore della grande parole pronunciata nell’Inferno: e’n la sua volontade è nostra pace:/ ell’è quel mare al quale tutto si move/ ciò ch’ella cria o che natura face (Par. III 85-7).
co' seguaci sui: i suoi affluenti"
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"nè posso negare che il corso della mia prosperità non sia stato velocissimo. Ma questo è quello che, rammentandomene io, più forte mi cuoce: perciocchè fra tutte l'avversità della fortuna la più infelice maniera di mala ventura è l'essere stato avventuroso."
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"non subitamente nasce amore e farsi grande e viene perfetto ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo impediscono"
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"Dante Alighieri"
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"l’amore non può negare nulla all’amore. E “ nessuno può amare se non costretto dalla forza dell’amore"
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"Dunque: la lingua d'oïl adduce a proprio favore che, per la natura più agevole e piacevole del suo volgare, tutto quello che è stato desunto o inventato in volgare prosaico, le appartiene: vale a dire la compilazione che mette assieme Bibbia e imprese dei Troiani e dei Romani, e le bellissime avventure di re Artù, e svariate altre opere storiche e dottrinali."
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"1. Mille e trecento anni prima della fondazione di Roma, Nino, re degli Assiri, che fu il «primo», come vogliono gli storici pagani, per la bramosia di estendere il suo dominio portò le armi fuori della patria e passò cinquanta anni della sua vita a insanguinare tutta l’asia con le sue guerre.
2. Egli, insorgendo dal mezzogiorno e dal Mar Rosso, devastò e soggiogò il Ponto Eusino, posto all’estremo settentrione, ed insegnò ai barbari Sciti, ancora imbelli e innocenti, a svegliare la loro sopita crudeltà, a conoscere le loro forze, a bere non più latte di pecora, ma sangue umano, e infine a vincere, mentre egli li vinceva.
3. Infine sconfisse in battaglia e uccise Zoroastro, re della Battriana, e inventore – come si tramanda- dell’arte magica. Dopo qualche tempo Nino morì colpito da una freccia, mentre assediava una città che gli si era ribellata.
4. Alla sua morte gli successe la moglie Semiramide, che somigliava al marito nell’audacia e al figlio nell’aspetto esteriore; essa per quarantadue anni esercitò con le stragi dei popoli stranieri la sua gente, che ormai era per esperienza avida di sangue.
5. Questa donna, non contenta dei confini ereditati dal marito, che li aveva acquistati guerreggiando da solo per cinquanta anni, domò in guerra l’Etiopia, la inondò di sangue e la aggiunse al suo impero. Guerreggiò anche contro gli indiani, nelle terre dei quali nessuno mai entrò, all’infuori di lei e Alessandro Magno.
6. In quell’epoca, perseguitare e massacrare popoli che vivevano in pace era delitto più crudele e più grave di quanto non sia ora, perché allora né presso né fuori di loro c’erano ragioni per far divampare le guerre, e all’interno non erano travagliati da bramosie tanto smisurate.
7. Semiramide, infiammata di libidine, assetata di sangue, vivendo tra continui e stupri e omicidi e fede uccidere dopo averli dilettati giacendosi con loro, tutti quelli che aveva invitato come regina e con i quali si era comportata come una meretrice. Infine, concepito disonestamente un figlio, dapprima lo fece scelleratamente esporre, e poi ebbe con lui rapporti incestuosi, cercando di nascondere la privata ignominia col pubblico delitto.
8. Infatti ordinò che tra genitori e figli fosse lecito qualunque rapporto piacesse loro, senza avere alcun rispetto per i limiti posti dalla natura ai connubi."
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"Gianciotto Malatesta"
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"Giorgio Inglese"
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"http://viaf.org/viaf/49295777"
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"Guido Guinizzelli"
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"http://dbpedia.org/page/Guido_Guinizelli"
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"http://viaf.org/viaf/64045504"
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"1.Discesi: Come? Forse “profittando dello scarico di pietre prodotto da una frana sull’orlo dei vari cerchi ” (Porena), cioè della ruina, cui si accenna al v. 34. – primaio: ‘primo’ [G 284]. Rima unica cantica."
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"100.Amor: l’anafora incipriata lega tre terzine, retoricamente tesissime, essendo Amore sempre soggetto delle azioni determinati (prese costuir, mi prese, condusse noi), e insomma l’unico vero attore della storia. La parola di Francesca è psicologicamente sincera, ma, nella prospettiva etica del poema, obbiettivamente falsa (cfr. Pg XVIII).- ratto s’apprende: ‘si accende subito’, come un fuoco, senza dar tempo a resistenze; figura etimologica con il seguente prese. l’innamoramento istantaneo è un luogo comune, ma cfr. VN II 1-4 (“quando ali miei occhi apparve prima la gloriosa donna dela mia mente... in quello punto [‘attimo’ dico veracemente che lo spirito della vita… cominciò a tremare]”), o, del Cavalcanti, Voi che per li occhi 12-13 (“si giunse ritto ‘l colpo al primo tratto, / che l’anima tremando si riscosse”).- il verso nasce a una combinazione guinizzelliana: “al cor gentil rempaira sempre amore” “foco d’ amore in gentil cor s’aprende” (v. 11), “Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile” (v. 21)."
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"101. costui: cfr. nota al v. 116.- persona: ‘corpo’. in Paganino da Serzana, ca. contra lo meo volere, già come rimante: “AI! Plagente persona/ cerca allegra e benigna/ di tutte altezze degna” (v.40). “Partissi della sua bella persona/…l’anima gentile” si dice di Beatrice in Li occhi dolenti (VN XXXI II).- gioco di rimanti fra persona e perdona e rima ricca fra perdona e abbandona. La terna è già in Monte Andrea, alo fedele ‘l bon."
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"102. che mi fu tolta: la bellezza fisica, prima viva e splendente, ora dolorosamente rimpianta, resta il fulcro della passione. Il modo: ‘la misura’, ossia la dismisura, di quell’amore non sottoposto alla ragione (Picone, in lect. Turic., p. 85). Ugo di San Vittore: “luxuria est…concubitus desiderium supra modum vel contra rationem effervens” (PL 176, 525; cit. da Pertile, Modo, p. 627).- ancor m’offende: ‘tutt’ora mi nuoce’, mi lede, in quanto cagione della pena eterna (Buti). “amor che non m’afende” nella cit. canzone di Paganino.- [Dato che entrambe le anime sono offese (v. 190), ha buone probabilità la lezione di Mart* Triv: n’offende, ‘ci lede’.] 103. Squisita figura etimologica, per dare la massima forza all’idra centrale per l’intero episodio: ‘a nessuno, che sia amato, Amore condona il (ri)amare’. Per l’esatta sfumatura di perdonare, ‘risparmiare una pena’, cfr. Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti XVI 2,14: “chi questo tormento perdona, lo suo dono moltiplica” (‘chi sa risparmia al bisognoso l’umiliazione di chiedere moltiplica il valore del dono’).- Francesca vuol dire, a propria scusa, che fu costretta a ricambiare l’amore di Paolo. Non è, come si suole ripetere, una massima dell’amore “cortese”, ma dell’amore spirituale (Pg 22.10-11:”Amore/acceso di virtù, sempre altro accese”), di quell’amore che riflette in sé l’amicizia (v. 91!) fra Creatore e creatura (Giordano da Pisa, predica 4 ottobre 1304: “non è nullo che, sentendosi che sia amato da alcuno, ch’egli non sia tratto ad amar lui incontanente”; ed. Magheri, II, p. 78). Francesca la adibisce scandalosamente a descrivere la potenza dei sensi, riscoprendo la verità naturalistica della situazione “tristaniana” oltre il simbolo del filtro amoroso."
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"104. del costui piacer: ‘della sua bellezza’; costui come genitivo senza prep. (Rohlfs 492): “lo tuo ardor per la costei bieltate” (Rm XXXVII 52); “ella si mostrava gentile e si piena di tutti li piaceri” (Vn XXVI 3)."
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"105. ancor: anche ora, che i bei corpi non esistono più, e il desiderio non può trovare nessuna forma di appagamento né di attenuazione, “nulla speranza… non che di posa ma di minor pena“. Vedi anche il passo virg. e la chiosa serviana cit. al v. 69.- come “pena aggiuntiva, … il perdurare di quell’amore…ripropone in ogni istante il contrasto tra la felicità che esso procurò… in terra e la pena tormentosa… nell’inf” : (Malato, Studi, p. 96 )."
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"106. la prima e l’ultima parola del verso si riprendono fonicamente “AMOR condusse noi ad unA MORte”, nel segno di una diffusa paretimologia (Federigo dell’Ambra, son. Amor che tutte cose: “amor da’ savi quasi A! mor si pone”). La parola motre conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è Amore. – una: ‘una stessa’, una comune morte fisica (“insieme dal morito fur morti”, -Iacopo Al.) e spirituale (Iac 1.15: “concupiscentia…parit peccatum, peccatum vero… generat mortem”). È una superfetazione critica che sua stata la morte violenta, di per sé, a impedire il pentimento di Francesca."
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"107. ‘Caino aspetta (come personaggio di punizione) colui che ci tolse la vita’. vedi nota al v. 116.- è una maledizione: il nome dell’assassino è taciuto per disprezzo, non certo per “femminile riserbo”.- [La variante Caina (attesa da La, ma ricavabile anche dalla scrizione cain) introdurrebbe un riferimento preciso alla topografia del nono cerchio, ossia alla zona dei traditori dei congiunti (cfr. 32.58)].- a vita…spense: costrutto raro [alterato in vari mss.; Urb en vita]; cfr. Monte, son. ”Ai! Come spento sono… da tutto bene”.- spense: rima unica nella cantica, ricca (inclusiva) tra 107 e 111."
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"108. da lor: v. 95 (“noi…parleremo”); non obbliga ad assegnare alla voce di Paolo il v. 107.- porte: cfr. 2.135."
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"109. offense: ‘lese, straziate’, in figura grammaticale col rimante del v. 102 (invero differiscono per un solo fonema); lat. OFFENSUS."
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"11.cignesi: si cinge [G 535, 469]. Tante volte: nelle più antiche illustrazioni (per es., nel ms. Eg), la coda è abbastanza lunga da circondare il busto di Minosse con il richiesto numero di anelli. Rima equivoca col v.15."
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"110-111. viso: ‘sguardo’.- tanto…fin che: fin tanto che; V. ha taciuto qualche momento, per riguardo alla meditazione di D."
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"113. dolci penseri…disio: di cui il racconto di Francesca, teso fra l’istante dell’innamoramento e la morte, ha taciuto."
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"114. al doloroso passo: ‘alla morte’; cfr. Fiore LX 14: “insin ch’e’ sia condotto al passo stretto” (con la nota di Contini)."
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"116. Francesca: dalla città natale, Ravenna, e dalla morte violenta D. ha riconosciuto l’interlocutrice, “F. figliuola di m. Guido Vecchio da Polenta” (Iacopo Al. Ecc.).- i documenti conoscono una Francisca moglie di Giovanni “Ciotto” (‘zoppo’), figlio del signore di Rimini, Malatesta del Verucchio. Il fratello (v. 6.2) del Ciotto, Paulus Malateste de Veruclo, cs. Il 1270 spostò Orabile Beatrice dei conti di Ghiaggiolo; fu Capitano del popolo a Firenze dal febbraio 1282 al febbraio successivo (Consule d. Rep. Fior. Ed. Gjherardi, I, pp. 119-40). L’ assimilazione di Giovanni a Caino implica che il fratricidio sia stato commesso a sangue freddo, in modo sleale, e non “ipso actu adulterii” (come vorrebbe una tradizione novellistica raccolta da Baccaccio). È anzi verosimile che alla sua radice vi fosse un contrasto politico- familiare (A. Falcioni, DBI, s.v). nel 1286, il Ciotto sposò Ginevra di Tebaldello Zambrasi (cfr. 32.122); dieci anni dopo divenne podestà di Pesaro, carica che tenne fino al 1304, quando fu ucciso da alcuni vassalli.- la sfumatura anti malatestiana dell’episodio è confermata da 27.46 e 28.81 (vedi nota)."
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"119.120.’grazie a quali segni e in quali circostante Amore fede si che prendeste coscienza dei vostri desideri?’. Francesca descritto in termini quasi dottrinari, come l’amore si generò; D. vuol sapere, ora, come esso in concreto si rivelasse. – concedette: G. 577.- dubbiosi: oscuri e colmi d’incertezza, sul nascere; Andrea Lancia, Eneide III 180: “Anchise…conobbe la dubbiosa ischiatta” (adgnovit problem ambiguam). Oppure, semplicemente: ‘paurosi’, causa sgomento in quanto tali, o in quanto acompagnati da dubbi di natura morale (Battaglia Ricci).- disiri: provenz. di lingua poetica.- la terna di rimanti martiri : sospiri . desiri cita Guinizzelli, son. Vedut’ho la lucente (“così conoscess’ella i miei disiri”) e Cavalcanti (cfr. nota 91)."
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"121.123. Nessun…miseria: da Boezio, Cons. Phil. II pr. 4,2 (o da un florilegio: “in omni asversitate fortunae, infelicissimum genus in fortuni es se recordari fuisse felicem“; Hamesse, Aucoricates, p. 287): ma qui il tempo felice è la vita terrena in quanto tale, la miseria è eterna, e la constatazione non è aperta ad alcun svolgimento consolatorio.- dolore: rima ricercata con DOTTORE.- felice: rimante solo qui in tutto l’inferno; è addirittura l’unica rima in – ICE nella prima cantica (su 17 nell’intero poema): è infatti la rima “simbolo” di Beatrice (cfr. Pd 7.14).- sai: per il solo fatto di essere un’ombra; Francesca non ha modo né motivo di riconoscerne l’identità.- dottore: Virgilio."
IRI: http://divo.github.io/IedLine124-125
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"124-125. da Aen II 10-13:”sed si tantus amor casus cognosere nostros…quamquam animus meminisse horret…incipiam”."
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"126. ‘parlerò piangendo’ (v. 33.9). Aen. III 492: “lacrimis adfabar obortis” (‘parlando piangendo a dirotto’). Vn XVIII 5: “parole mischiate di sospiri”.- verso artificiosi: “dirò…dice”, “come colui…”. – E: ‘eppure’, ‘e nonostante ciò’ (Nencioni, Struttura, p. 27)."
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"127.leggiavam: leggevamo [G 550].- per diletto: definisce una dimensione della druizione (e della creazione) letteraria, antitetica a quella del poema dant."
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"128. Lancillotto: “lo cavalier L.”, lodato nel Cv (IV XXVIII) per la sua conversione finale alla vita contemplativa, è uno dei protagonisti del “ciclo bretone”; il libro (v. 137) in cui si trova narrata la prima radice del suo amore per Ginevra, moglie di re Artù, è il Lancelot du Lac, in prosa francese (1215/1235).- strinse: ‘legò’, dopo aver preso, nel lessico erotico (re Enzo, csa. Amor mi fa sovente, v. 18: “Così mi stringe Amore / ed ami così priso…” ecc.)."
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"129.sospetto: ‘timore’, presentimento di quel che sarebbe eseguito (Sapegno). La situazione sarebbe tristaniana: “un giorno (Tristano e Isolda) giocavano a scacchi , e noe pensava l’uno dell’altro altro che tutto onore, e giàe i(n) loro cuore non si pensava fallia [‘fallo’] neuna di folle amore” (Tristano riccardiano 57). Ma Boccaccio: “senza s. d’alcuno impedimento” (anche Dec. IV III 20: “potendola egli senza alcun s. a ogni suo piacere avere”)."
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"130-131. ‘più volte quella lettura fede sollevare lo sguardo dell’uno negli occhi dell’altro, e impallidire i nostri volti’. “e [bevuto il filtro]…adesso cambiòe T[ristano] lo suo coraggio [‘cuore’] e non fue più in quello senno ch’egli iera da prima; e madonna Isotta si fecie lo somigliante; e cominciano a pensare e a guardare l’uno l’altro” (Tristano riccardiano, loc. cit.).- scoloricci: “quando questa battaglia d’amore mi pugnava così, io mi movea quasi discolorito tutto” (Vn XVI 4)."
IRI: http://divo.github.io/IedLine132
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"132. dice Vinse, come ha detto prese e condusse, per raccontare sé stessa e Paolo come vittime, offense da Amore; così, pur confessando il peccato (v. 8), non lo accusa."
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"133. riso: il sorriso “è…il sentimento della bocca, qualche cosa d’incorporale che si vede errar tra le labbra… e che…non puoi toccare” (De Santics, Francesca, p. 650)."
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"134. ‘essere baciato da unno che l’amava così profondamente [da cotanto amante]’. Nel racconto francese, il nobile Galehoz (v. 137) implora Ginevra di concedere a Lancillotto un bacio come seurtè, come pegno d’amore la regina acconsente e, quando vede che il timido innamorato “n’an ose plu faire, …si lo prent ele par lo menton, si lo baise…asses longument” (‘non osa più, lo prende per il mento e gli dà un bacio lunghissimo’).- basciato: G 286; al v. 136, basciò.-Eco interna cotANTO amANTE, rima ricercata tra amANTE e AVANTE, ricca tra 134 e 136."
IRI: http://divo.github.io/IedLine135
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"135. il ricordo dell’istante più dolcemente illusivo si unisce alla più profonda e desolata dichiarazione di eterna comunione (“questi che mai da me non fia diviso”), per l’eterna miseria. Il coniugo ultraterreno fra Paolo e Francesca evoca, per un verso, quello fra Didone e Sicheo (Aen. VI 473-474); per altro, è antitetico all’evangelico “in resurrectione…neque nubent neque nubentur” (Mt 22.30; cfr. Pg 19.137). Nella poesia del momento, si oblia il tecnicismo della rima ricca viso: diviso, da Notaro (“Eo viso e son diviso dalo viso” ecc.)."
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"136.la bocca mi basciò: espressione non frequente, per la sua realistica sensualità, nella lirica aulica italiana (ma almeno Chiaro Davanzati, Io non sono degno “La vostra dolce bocca ed amorosa / d’uno basciar mi desse sicuranza”).- tutto tremante: “e si ‘l [= il “fiore”] basciai con molto gran tremore” (Fiore XX). Allitterazioni: bocca mi basciò-tutto tremante."
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"137. ‘il libro fu (intermediario d’amore tra noi, come tra Lancillotto e Ginevra lo fu) Galeotto’; v. 134.- La citazione romanzesca, che ha tono elegiaco, fu piegata ironicamente dal Boccaccio nella rubrica del “del libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto”, e su questo registro diventò un’espressione antonomastica alla fine dell’Ottocento."
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"138. avante: ‘oltre’. “Cetera quis nescit?” (Ovidio, Am. I 5.25)- la reticenza di Francesca non è motivata tanto da “verecondia e castità” (De Santics, Francesca, p. 646), quanto dal dolore di ricordare (v. 121). Nel racconto tristaniano: “Anzi che compiessero quello giuco [= la terza partita a scacchi], sì si levarono ed andarossine ambodue disotto in una camera: e quivi incominciano quello giuco insieme, che infino a loro vita lo giucarono volentieri” (loc. cit.)."
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"140. piangea: in silenzio. Il pianto muto di Paolo fa da contropartita alla (quasi) esclusiva e irrefrenabile verbosità maschile della lirica italiana del Duecento. – pietate: v. 72."
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"142. la più celebre fra le allitterazioni dantesche (ma si notino anche: il poliptoto cadi-cade; l’assonanza centrale cORpO mORtO; il ritmo giambico smorzato da parole tutte bisillabe piane) ha una scoperta funzione enfatica: segnare la dolorosa catarsi del pellegrino-poeta, dinanzi al passo cui può condurre, con la mediazione di fallaci miti letterari, la dolcezza dell’amore sensuale."
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"15. la terna di verbi è complementare a quella dei vv. 5-6, relativa a Minòs: essamina-dicono, iudica-odono, manda-son volte, ‘vengono è precipitate’ (cfr. 13.97)."
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"18. ‘interrompendo l’esercizio di una funzione [offizio, G 275] così importante’, come l’esecuzione della giustizia divina."
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"19. ‘Bada bene a quel che fai, entrando qui, e (considera) quanto valga colui al quale ti affidi [fide, G. 528]’. Minos denuncia l’insufficienza di V. – s’intenda del V. allegorico, ossia dei documenta phylosophica- quale guida oltremondana, ignorando il mandato divino di cui quello si fa forte; ripete, in parte, l’opposizione di Caronte e anticipa la ben più ferma resistenza dei diavoli di Dite (vedi 9.115 ss. e nota)."
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"20. l’ampiezza: la facilità; cita malignamente Mt 7,13, “lata porta---quae ducit ad perditionem”. E inoltre Aen. VI 126: “facilis descensus Averno…sed revocare gradum…hic labor est” (ammonimento della Sibilla ed Enea: ’è facile la discesa nell’Averno, ma ritornare indietro è la fatica’)."
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"27. percuote: ‘colpisce’, tocca il senso dell’udito; ma anche anticipa v.33. il cambiamento di scena- da Minòs ai lussuriosi- è enfatizzato con una terzina artificiosa: la strofa è al presente storico (tra due passati remoti: disse-venni) ed è divisa in due parti uguali (quindi, inarcatura fra 26 e 27) lega per anafora (Or….or), che variano il medesimo concetto."
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"28. d’ogni ….muto: ‘buio’, per sinestesia (cfr. 1.60); variatio di 4.151. l’ inf. “locus est tenebrosus, sed tamen ex divina dispositione est ibi aliquid luminis quantum sufficit ad videndum illa quae animam torquere possunt” (Tommaso, S. Th. III Suppl 97,4)."
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"29. mugghia: ‘muggisce’, ‘urla’; G 250. – il terzetto di rimanti, centrato sulla tempesta erotica, ha precedenti lirici: “fai come lo mare/ quando di gran tempesta, / c’ala nave non resta/di dar gravoso affanno….scampare/mi puoi d’esta molesta [sostantivo]” (Pucciandone, ca. Madonna, voi isguardando)."
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"30. ‘quando venti contrari combattono fra loro’; replicato da ‘bufera’: “quando nelle montagne la neve che cade è rivolta e … aggirata da diversi venti” (Landino)."
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"35. compianto: ‘pianto’ di più persone insieme. Lamento: in rima ricca con tormento; inoltre, i due rimanti inviano contenutisticamente l’uno all’altro."
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"37. intesi: dal modo della pena, per il contrappasso evidente. Guido delle Colonne, ca. Ancor che l’anguia vv. 43-46: “lo disìo c’ho… mettermi ‘n tempestate/ ogna penseri, che mai non si stanca”. Anche l’oltretomba virg. Ha una simile pena, ma purgatoria: “aliae panduntur inanes/ suspense ad ventos” (‘alcune [anime] si abbandonano livei al vento’; VI 740-741)."
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"38. énno: sono [G 540]. – carnali: qui ‘sessuali’ (“carnal voglia”, “carnale fallore”, ossia ‘peccato carnale, in Guittone ecc.’). essendo gli atti ‘contro natura’ puniti nel passo inf. (canti XV-XVI), la ‘lussuria’ del secondo cerchio va intesa, a norma di dottrina, come sessualità extramatrimoniale (fornicazione semplice, fra persone non sposate; adulterio; incesto ecc ecc.: cfr. Pietro Lombardo, Sentenze IV XLI 5-9)."
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"39. ‘i quali (come tutti gli incontinenti) lasciano che il desiderio [talento, gallicismo] prevalga sul giudizio’ che discerne il bene dal male. – Delinea succintamente, a partire da Aristotele, Eth. 1147a-b, il processo interiore che verrà meglio esplicato in Pg 18.49-72, e per ora non si stacca formule ordinarie. “E qual sommette a voglia operazione, / torna di sotto là dove sopr’era”, scrive il “giuttoniano” Meo Abbracciavacca in coda a un’epistola a Bindo Donati, dove si troverebbe anche il tema del nostro canto: “ahi carnal desiderio, quanti nobili e grandi hai nabissanti!”. Il peccato di lussuria è comunque ritenuto da D., meno grave degli altri perché il desiderio sessuale è il più forte, il più difficile da dominare (Boccaccio)."
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"4. Stavvi: all’ingresso (entrata) del cerchio. – Minos: nell’Ade virgiliano, le ‘dimore non sono assegnate [alle anime] a caso e senza giudice: / l’inquisitore [quaesitor] Minosse […] dei morti silenziosi / convoca il concilio e apprende le vite e le colpe [crimina]’ (Aen. VI 431-433); Dante muta il severo ma giusto re di Creta, figlio di Giove, in una figura d’aspetto orribile, mostruosamente ferina(ringhia; e V. II coda). – la rima in INGHIA è unica nel poema."
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"40-42: ‘E come, nella stagione fredda, le ali portano via gli storni [stornei < stornelli] in schiera numerosa e compatta, in questo medesimo modo quel vento [fiato] le anime dannate’. Assimila la massa degli spiriti volanti a quella degli uccelli, mentre oppone la motilità spontanea di questi alla mobilità puramente passiva di quelli. – la preferenza per le similitudini ornitologiche (vedi poi verso 46 ss., 82 ss.) è congrua al nucleo (v. 100) guinizzelliano dell’episodio: “Al cor gentil rimpaira sempre amore, / come l’augello in selva ala verdura”."
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"43. l’andamento giambico del verso (cinque accenti, quattro dei quali su monosillabi) dà espressione ritmica all’agitazione di questi spiriti, il balìa del vento. – il paragone trova qui il suo fulcro: anche il branco degli stornelli muta continuamente direzione e forma. – li: avv. Di luogo (Vandelli)."
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"45. posa: ‘pausa’, sospensione della pena. – deve valere, e vale, per tutti i dannati (a parte qualche concessione alla varietà narrativa: cfr. 22.22)."
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"46. gru: maschile, come talvolta in latino. – cantando lor lai: ‘emettendo il loro grido’; Daunde de Pradas, “El temps que’l rossignols s’esgau [‘gioisce’/ e fai sos vers [var. lais] sotz lo vert fuoill…”. Si più tradurre ‘cantano la loro canzone’, dato l’ant. Franc. E provenz. Lai(s), invar., ‘componimento poetico’. Non si tratta di “lamenti”: Aen. X 266: “gues…fugiunt…clamore secundo” (‘le gru fuggono con strida gioiose’)."
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"47. faccendo: la doppia come in faccio, faccenda, ecc. – riga: “grues…vont a eschieles…et touz jors va l’une devant l’autre” (B. Latini, Tresor I 163)."
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"48. Cfr. Donna Pietosa, v. 47: “qual lagrimando, e qual traendo guai”, ‘emettendo lamenti’ (De Robertis, Vn XXIII)."
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"51. [la consueta discordia fra i testi si risolve qui a favore di aura (Eg Fi LA Mad Parm Po Vat) in quanto sinonimo di vento (v. 75 ecc.) distinguibile da aere (Triv Ash Ham Pr Urb) e aria (Laur Rb), ‘atmosfera’. “Agitatus aer auram facit” (Isidoro, Etym. XIII XI 17.)]. Nera: v.28. si: in riga ordinata, e non in frotta scomposta (v. 41), come per riconoscimento di un rango elevato (v. 71). gastiga: castiga, tosc."
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"54.imperatrice: G 199. – Favelle: ‘lingue popoli’. Si tratta dell’assira Semiramide, “la più crudele e dissoluta femmina del mondo” (G. Villani I 2). Nella Monarchia, D. ricorda Nino e Semiramide come i primi che tentassero, senza successo, di instaurare un imprero mondiale (II VIII). Inoltre: “a mulieribus non bene regitur civitas” (Tommaso, in libros Polit., II lect. 13= Hamesse, Auctoritates, p. 255)."
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"56-57: ‘che, per cancellare [torre: togliere G 138] l’infamia in cui [ch(e): G 484] era caduta. Decretò che fosse permesso [licito, lat] (tutto) ciò che piacesse’; da Orosio 4: “filio…inceste cognito, privatam ignominiam publico scelere obtexit. Praecepit enim ut inter parentes ac filios.. cui libitium esset liberum [var. licitum!] fieret” (cfr. Conte, Libido, p.427)."
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"59. Orosio: “[Nino] mortuo Semiramis uxor successit”; in D. hysteron proteron, che allude forse (Castelveltro) all’omonimia fra il marito e il figlio- amante (Tresor I 26:”un jovene fiz ki avoit on [‘ nome’] Zaereis, mais il fu apelés Ninus por le non son pere”)."
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"6. Poi, giudica, ‘riconosce la colpevolezza’, e manda, ‘assegna’ a un determinato luogo di pena, secondo ch(e) avvinghia, ‘a seconda di come avvolge’ la coda (vv. 11-12; e cfr. 27.124-127). È la grottesca caricatura di un rito processuale, mentre l’autentica sentenza si è pronunciata altrove e da ben altro giudice."
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"60.’possedette la regione che (oggi) governa il Sultano’, ossia l’Oriente; “totius Asiae regina” (Orosio II 2). –Soldano: ant. Franc. Soldan, arabo sultan; il P. si riferisce genericamente al dominio mamelucco su Egitto, Palestina e Siria (cfr. 27.90:”mercante in terra di Soldano”)."
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"61. l’altra: ‘la seconda’ (lat.).- colei: Didone (v. 85).- ancise: ‘uccise’; forse da aucidere (provenz. aucire) per scambio grafico u/n (Manni, Trecento, p.145). è lessico lirico: “quella spada ond’elli [=Amore] ancise Dido” (ca. Così nel mio parlar= Rm CIII 36: in rima con grido). – amorosa: ‘per amore’; ossia- volendosi sollevare una questione di coerenza strutturale- in condizioni di “furore” (Aen. Iv 697) che escludono il peccato di suicidio: cfr. canto XIII."
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"62. da Aen. IV 552: “non servata fides cineri promissa Sychaeo” (inteso come Servio: “Sychaeo pro Sychaeio”). Sono le parole con cui Didone motiva il rimorso che la travolge dopo l’abbandono da parte di Enea (“Come una bestia, non ho potuto vivere senza connubio [Thalami expertem] e senza colpa, ed evitare tali affanni”); l’hysteron proteron dantesco avrà dunque una sfumatura causale: ‘si uccise… avendo tradito, per incontenibile lussuria’.- l’episodio virgiliano, complesso dramma dell’amore passionale, già rielaborato e approfondito nella narrativa francese (Roman d’Eneas), fornisce vari motivi psicologici e poetici del canto (per es., che l’anima di Didone sia perduta nel vento è, alla lettera, da Aen. IV 705: “in ventos vita recessit”). Sul piano storiografico, invece, D. considerava quello fra Enea e Didone un autentico matrimonio, di valore addirittura provvidenziale. (Mn II III 15)."
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"63. Cleopatras: G 313; si noti l’allitterazione Cleopatras lussuriosa. – Cleopatra è ben presente nella narrativa storico-leggendaria del Duecento , come bellissima seduttrice (ad esempio nelle storie De Troia e de Roma). Ma forse D. avvicina la sua fine a quella di Didone: “Cl…. Fu moglie [di] Marco Antonio, il quale [da] Ottaviano… fu morto; per lo qual dolore ella… la morte innamorata perse” (Iacopo Al,)-Cfr. anche Pd 6.76-78."
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"64-65: Elèna: accentato verosimilmente alla francese (cfr. TF, p. LIV); chiude la serie delle eroine, come la più bella donna mai nata (cfr. Detto, 195 ss.:”La bocca e ‘l naso e ‘l mento/ à più belli, e non mento, / ch’unque non ebbe Alèna” ecc.).- vedi: come in Aen. VI 760, 825, 855 ecc. (“vides…aspice…”), indicando Anchise ed Enea gli eroi romani. [I mss. vidi, tranne Fi Urb; ma su RB, ms. bolognese, vidi può essere seconda persona del presente metafonesi.] – per cui… volse: ‘a causa del quale durò un così lungo periodo di tempo infausto’- i dieci anni della guerra di Troia. Per D., Elena è stata uccisa (V. 69 e 90), ma non si sa donde abbia ricavato la notizia. Pausania (III XIX 10) racconta, in effetti, che Elena finì impiccata, per la vendetta della vedova di un guerriero acheo: ma il suo testo non era noto all’Occidente medievale. Sia nell’Eneide, sia nella tradizione romanzesca, Elena riesce invece a farla franca. Cfr-Rom. Troise 28425-33; Guido delle Colonne Historia, forse echeggiato da D.: “Aiax adiecit Helenam…morti tradendam, per quam Greci tot mala tantis temporibus sibierunt”; ma Agamennone e Menelao la salvano (ed. Griffin p. 235). -Reo/ tempo: è sintagma della lirica (Giacomo da Lentini, ca. Guiderdone, V. 25), nel senso di ‘cattiva stagione’; il potenziamento semantico è qui enfatizzato dall’inarcatura (per cui, ad ogni modo, cfr. Fiore CXIII 7-8: “ma è rio/ il tempo e’ lor guadagni si son frali”, con la nota di Contini). – grande: ‘valoroso’; del suo amore illecito per la prigioniera Briseide, dice Ovidio, Ars am. II 711-716 (“magnus Achilles”)."
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"66. ‘che alla fine (della vita) combattè [G 574] con Amore’ e restò vinto e ucciso. “Eccuba…manda ad Achilles… et promiseli di dare Polisena per moglie. Achilles, molto preso del’ amore di Polixena,…andò al tempio di …Apolline… e Pari… fede molte piaghe ad Achilles si che gli uscìo l’anima” (Storie de Troia e de Roma, ed. Monaci p.48)."
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"67. Paris: fu ucciso da Aiace (Guido delle Colonne, Historia: “Necesse est ut ab iniusto amore Helene…illico apareris”; ed. cit., p. 210).- Tristano: della “materia” bretone, conosciuta attraverso i romanzi duecenteschi, D. colse la mitizzazione della passione amorosa nelle triadi fatali T. –Isolda- Marco e Lancillotto-Ginevra- Artù (per cui il V. 128). Nel Tristan en prose, il protagonista viene ferito a morte da Marco con un glaive envenimè, una spada avvelenata."
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"69. ‘che l’amore separò [dipartille, con pronome pleonastico] della vita’. si è già detto della fine violenta di Didone, Cleopatra, Achille, Paride e Tristano. Non è invece chiaro che cosa potesse sapere D. della storie ultima di Semiramide (uccisa dal figlio, secondo Giustino I 2) e di Elena (cfr. nota VV. 64-65). Al di là di questo aspetto tragico (ineliminabile: v.90), i componenti della “riga” sono tutti, per quanto numerosi, degni di un nome (nominomi…nomar), sono “donne antiche e cavalieri” (v. 71): insomma, l’intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico “Troianorum Romanorumque gesta… et Arturi regis ambages [‘avventure’] pulcerrime” (Dvè I x 2), e soprattutto aveva trasferito nelle storie antiche l’atmosfera cavalleresca delle “moderne”. – una schiera infera di eroine amorose, compresa Didone, è già in Aen. VI 441 ss.: “lugentes campi…hic quos durus amor crudeli tabe peredit/ secreti celant calles ed murtea circum/ silva tegit; curae non ipsa in morte relinquont” (‘nei Campi del paino sentieri appartati nascondono quanti la pena d’amore consumò con struggimento crudele; una selva di mirto li circonda, il tormento non li abbandona neppure nella morte’). Servio commenta “etiam illic amant”."
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"72. pietà: profondo turbamento in cui sono fusi l’orrore per il peccato e il dolore per l’umanità peccatrice giustamente punita (v. 93); non è la virtù di cui è exemplum Enea (Cv II X; e cfr. 20.28, Pg 10.93 ecc.), ma neanche l’angoscia di 1.21 o 1.106.- mi giunse: ‘mi prese’. – fui…smarrito: per ‘mi smari’, rimasi sgomento (cfr. 2.64); fa presentire il crollo di cui si dirà ai vv. 141-142."
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"74. (i)nsieme: ‘in coppia’- come Didone e Sicheo, nei Campi del pianto (Aen. VI 43-474:”coniux…pristinus illi/respondet curis aequantque…amorem”; ‘tra lei e il marito d’un tempo c’è corrispondenza d’affanni e partià d’amore’). Ma per i due cognati l’unione eterna acuisce la pena."
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"75. liggieri: lievi, come se, più degli altri, si abbandonassero senza resistere alla bufera; sul virgiliano ianes, cfr. nota a v. 37, esplicato da Servio con “sine pondere”. È una nota poetica priva di vera e propria ragione strutturale, e prepara il lettore a obliare, nell’incontro con Francesca, il “peso” carnale del peccato d’amore."
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"78.per amor…mena: ‘in grazia dell’amore che li [i: G 462] sospinge’.- La bufera e l’amore sono dunque lo stesso: la pena continua il peccato, come il peccato anticipa la pena; ne non si tratta tanto di “contrappasso” strutturale, quanto di scelta fantastica: Francesca, che dalla “struttura” è dannata per adulterio incestuoso (cfr. 6.2), vive nella “poesia” come anima tormentata dalla passione d’amore.- verranno: rima ricca (ma desinenziale).
79. ‘non appena il vento ce li avvicina’."
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"8. tutta si confessa: dichiara integralmente i propri peccati, ma senza contrizione. L’ anima dannata ha perduto anche la volontà di sottrarsi alla pena (cfr. 3.73-74) e la confessione non richiedere alcun tormento esteriore; nell’Eneide, invece, il giudice che si occupa dei peggiori colpevoli, Radamanto, “costringe a cofessar le colpe” (VI 567)."
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"80: mov’i’ la boce: ‘io muovo la voce’, ‘dico’ [con Lanza; Petrocchi: mossi la v., di Parm.]- boce: G. 167.- affannate: ‘travagliate’ da amore, in ossequio al suggerimento di V. (v. 78) e in piena coerenza con il lessico della lirica (Guittone, ca. O tu, de nome Amor, v. 77: “Amor, non t’ho blasmato/ perché m’hai affannato/ più ch’altro” ecc.); come si è appena detto, peccato e pena non sono distinguibili."
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"81. ‘venite a parlarci [noi: G 84]’. – no: “da no-llo si èestratte no, parallelo a non, come provano almeno i ben sicuri… noe possono, noe pensava del Tristano riccardiano” (Schiaffini, TF, p. 272)."
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"82.quali colombe…: l’allitterazione in L (poi “con l’ali alzate…al dolce”) concorre alla liquida levità della similitudine (e v. 75 e nota).- disio: ‘desiderio amoroso’ (cfr. Pg 3.40-42); le colombe sono tradizionalmente consacrate a Venere “propter fetum frequentem et coitum” (Servio ad Aen. Vi 193)."
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"83. alzate: qui lo stesso che aperte [Laur], cioè ‘spiegate e tese orizzontalmente’ (Chimenz).-ferme: “qualis…columba..aere lapsa quieto/ radit iter liquidum celeris neque commovent alas” (Aen. V 213-217; ‘come una colomba, scivolando nell’aria quieta, plana sulla sua vita trasparenza senza muovere le ali veloci’)."
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"84. dal voler portate: meglio riferibile a cotali (anime) del v.85 in antitesi e in rima con dal disio chiamate (Zani e de’ Ferranti, Varie lezioni; Pigliaro). Il voler, che sembra eccezionalmente concesso alle anime perdute, appartiene in realtà al “Re dell’universo”."
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"87. ‘tanto potè l’intensità della mia richiesta [affettuoso grido: v. 125 affetto]’: l’allitterazione (si forte du l’affettuoso) sugella la coppia di terzine (v. 82)."
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"88 animal; qui ‘uomo vivo’ (cfr. 2.2).- grazioso e benigno: ‘benevolo’; aiuta a cogliere l’esatta intonazione dei vv. 80-81."
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"89.perso: “è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero” (Cv IV XX 2); v.51. Rima ricercata con perverso, a sua volta legato etimologicamente a universo."
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"9. conoscitor: è il lat. COGNITOR, ‘giudice istruttore’, colui che “riconosce” i delitti compiuti; conforme alla procedura medievale, Minòs cumula l’ufficio di inquisire con quello di pronunciare e far eseguire la sentenza (cfr. ad es. Boccaccio, Dec. VIII v). peccata: G 368."
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"90 noi: v. 69.- tignemmo: G 535.- sanguigno: ‘rosso scuro’ (“una guarnaka…si tinse din saguigno”, NFT, p.252) pre ‘sangue’ (con ritorno alla radice)."
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"91.se fosse amico: ma non lo è. La “gentile” Francesca allude a Dio con un’espressione di rispetto (Re dell’universo) che ne ricorda analoghe di V. (1.124 ecc.) e conferma una certa, innegabile, tensione tra condizione strutturale (v. 36!) e poesia del personaggio. In ogni odo, qui non vi è una preghiera né “intenzione” (De Santicts, Francesca, p. 644) o nostalgia di preghiera, ma solo una parola di saluto, in cui risuona la nota penosa del rimpianto per la pace irrimediabilmente perduta (vv. 92 e 99). Guido Cavalcanti, son. “se Mercé fosse amica a’ miei disiri…”(: martiri: sospiri)."
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"92. noi: io e il mio compagno (v. 101 ecc.). pregheremmo…pace: formula di saluto. “Biondello, che conosceva che contro a Ciacco egli poteva più aver mala voglia che opera, pregò Idio della pace sua [‘lo salutò’] e da indi innazi si guardò di mai più beffarlo” (Boccaccio, Dec. IX VIII 33).- pace: propriamente ‘perdono’ (come in Rm LXVIII 35)."
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"93. pietà: ‘commiserazione’ (v. 72).- del…perverso: ‘di noi che nel peccato ci pervertimmo’ (metonimia); D. non potrebbe provare pietà per la perversione in quanto tale."
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"96. mentre …tace: per il breve tempo in cui qui [ci], in quanto solo punto del cerchio, il vento, arcanamente, non soffia e consente alla coppia dannata di sostare presso i P. (v. 85). La coincidenza con Seneca, Med. 766, “tacete vento”, si spiega forse con la mediazione di un florilegio (E. Paratore, Seneca, in ed). gli incontri fra il P. e i dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello “svolgersi” (che non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi (cfr. 6.94-96): per un motivo superiore, ossia, per l’edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio, la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84). Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un’altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento."
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"97. terra: ‘città’, Ravenna. La perifrasi anima la formula manualistica col rimpianto del riposo [pace] che il Po e, in lui, i suoi affluenti [seguaci] cercano e trovano nel mar Adriatico, e che a Francesca è negato per sempre. Al tempo di D. il Po di Primaro entrava in mare 3 km a nord di Ravenna, e il litorale distava dalla città solo 2 km.- il personaggio non si nomina, ma si fa riconsocere (v 116 e nota) narrando la vicenda di cui è stata protagonista.- nata fui: per ‘nacqui’.
99. suoni: rima “guittoniana”; cfr. 2.76-78 [var. sui]."
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"E vegno in parte ove non è che luca."
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"che ’ntrono accoglie d’infiniti guai."
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"Ali hanno late, e colli e visi umani,"
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"parlare e lagrimar vadrai insieme"
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giorgio inglese
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"Dante Alighieri, Commedia. Inferno, a cura di: Giorgio Inglese,Carrocci Ediotore, Roma, edizione 2016."
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"a farmisi sentire: or son venuto"
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"Ed elli a me: «Vedrai quando saranno"
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"Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano."
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Has name
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"Natalino Sapegno"
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Identifier
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"http://viaf.org/viaf/22173730"
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"le donne, i cavalier, l’arme e gli amori"
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"100 gentile: nobile. – ratto s’apprende: improvviso si trasmette (come fiamma), trova rapido accesso. Più che l’esordio guinizzelliano, «Al cor gentile rempaira sempre Amore», o quello dantesco (nella Vita Nuova), «Amore e ‘l cor gentil sono una cosa», richiamerei i vv. 23-24 della stessa canzone di Guido Guinizzelli, «Foco d’amore in gentil cor s’apprende Come vertute in petra prezïosa»."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine101
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"101 costui: Paolo. – de… persona: del bel corpo, della mia bellezza fisica. Si rammenti la definizione di Andrea Cappellano (qui sovrapposta alla formula stilnovistica): «Amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexus moris praecepta compleri», cioè «L’amore è una passione naturale la quale si muove dalla vista o dal forte e dolce pensiero della bellezza dell’altro sesso, per la qual cosa uno desidera godere degli amplessi dell’altro e in quello stesso amplesso d’amore realizzare tutti i desideri derivanti dalla volontà di entrambi» (De Amore I 1)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine102
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"102 tolta: strappata (da morte violenta). – e offende: e la dismisura, l’intensità di quell’amore ancora mi domina e vince (ovvero «mi offese prima, da viva, moralmente e fisicamente, e mi offende ora da morta, con la dannazione»). Per la maggior parte dei commentatori, invece: «e la maniera in cui fui privata della vita ancora mi riempie di risentimento, mi strazia di sdegno (o per l’atroce brutalità dell’uccisione, o per l’infamia di una morte per mano del marito come adultera colta in flagrante, o meglio per la repentinità della morte che non le permise neppure un pentimento in extremis)»."
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"103 ch’a… perdona: che a nessuno (nullo) amato, risparmia (perdona) di amare o che non consente che chi è amato non ricambi l’amore; dunque: che obbliga ad amare per il solo fatto di essere amati. In forma più concisa e drammatica, è la tesi di Andrea Cappellano in almeno due delle sue «regulae amoris» (De Amore II 8): «Amare nemo potest, nisi quiamoris suasione compellitur» («Nessuno può amare se non perché costretto dalla forza dell’amore») e «Amor nil posset amori denegare» («L’amore non potrebbe negare niente all’amore»)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine104
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"104 così fortemente mi avvinse nella bellezza (piacer) di costui (Paolo). Notevole, sul piano sintattico, il genitivo francese con ellissi della preposizione (tipo «le peuple Dieu», «populus Dei») e pronome anteposto al sostantivo che esso determina; sul piano semantico, «piacere» è da intendere come l’impressione fisica e morale della bellezza, e quindi la bellezza stessa in quanto armonia dell’insieme."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine106
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"106 una: una medesima. La forza straordinaria di questi versi (100-106) è sottolineata dai parallelismi (bella persona, piacer), dalle frequenti ripetizioni e, soprattutto, dall’uso dell’anafora (Amor… Amor… Amor…). Ma la terza replicazione è una dura smentita delle precedenti: morte contro bella persona e piacer."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine107
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"107 Caina: la prima zona dell’ultimo cerchio dell’Inferno, ove sono dannati i traditori dei parenti. – chi… spense: colui che ci strappò alla vita."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine108
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"108 fuor porte: furono rivolte. In realtà, parla solo Francesca, ma anche a nome di Paolo: tale è l’intensità del rapporto che li unisce per l’eternità."
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"110 il viso: gli occhi. Il protagonista si piega a meditare come un sentimento positivo, quale l’amore, possa trasformarsi in una passione colpevole, fonte di dannazione."
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"120 i… disiri: i desideri ancora inespressi, incerti perché non rivelati. Nel De Amore del Cappellano (I 1): «antequam amor sit ex utraque parte libratus, nulla est angustia maior, quia semper timet amans, ne amor optatum capere non possit effectum, nec in vanum suos labores emittat», cioè «prima che l’amore tocchi ambedue le parti, non c’è maggior angoscia del fatto che l’amante sempre teme che il suo amore non possa ottenere l’effetto desiderato e che i suoi travagli siano vani»."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine123
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"123 ne la miseria: nel colmo dell’infelicità. – ‘l tuo dottore: la tua guida, Virgilio (in quanto misura quella verità nella sua condizione di limbìcolo dopo averla sperimentata da vivo, in sé e nei suoi personaggi). Il Contini invece propone Boezio, fondandosi su De consol. philos. II iv 2, «in omnii adversitate fortunae infelicissimum est genus infortunii fuisse felicem», cioè «in ogni avversità della fortuna infelicissima è la disgrazia di esser stati un tempo felici»."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine125
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"125 cotanto affetto: un così vivo desiderio. La mossa è virgiliana (per Enea a Didone): «Sed si tantus amor casus cognoscere nostros…» («Se è tanto il desiderio di conoscere i nostri casi…», Aen. II 10 ss.)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine128
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"128 Lanciallotto: Lancillotto del Lago, eroe e cavaliere della Tavola Rotonda. La storia del suo innamoramento per la regina Ginevra, moglie di Artù, narrata nel romanzo in prosa antico-francese (1120-1235) Lancelot, venne letta da D., se non nell’originale, in un notissimo volgarizzamento."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine133
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"133 riso: bocca ridente. Nel romanzo francese è invece Ginevra che rompe gli indugi e bacia Lancillotto (cotanto amante «un così nobile innamorato»): «Et la reine voit que li chevaliers n’an ose plus faire. Si lo prent ele par lo menton, si lo baise devant Galehaut assez longuement, si que la dame de Malohaut sot qu’ele lo baisoit»."
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"135 questi… diviso: Paolo, a me unito per l’eternità. L’opposizione fra il valore finemente letterario della parola riso e il valore più fortemente realistico della parola bocca determina un rapporto complesso, di analogia ma anche di opposizione fra la letteratura e la vita, fra il modello cortese dell’amore e la forza prepotente della passione."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine137
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"137 tale libro (o meglio il suo autore) rappresentò per noi quello che il siniscalco Galehaut (Galeotto) per Lancillotto e Ginevra: ebbe la funzione di mezzano, ci aiuto a rivelare il nostro reciproco amore."
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"138 A partire da quel giorno, ormai remota ogni evasione letteraria, la passione ha signoreggiato la nostra anima. Cominciò il Boccaccio a banalizzare questo verso: «Assai aconciamente mostra di volere che, senza dirlo essa, i lettor comprendano quello che dell’esser stata baciata da Polo seguitasse»."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine142
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"142 lo svenimento (venni men, v. 141) suggella la dolorosa consapevolezza del protagonista con una clausola definitiva, marcata dall’assonanza (corpo morto) e dall’allitterazione (caddi… corpo… cade)."
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"15 confessano le colpe, ascoltano la sentenza (cfr. v. 4 ringhia), e subito dopo vengono trascinate, precipitano in basso.
Questo verso trae la sua efficacia dalla successione di tre verbi che in rapido ritmo e con un processo di intensificazione del significato (dalla confessione al definitivo precipitare) danno rilievo drammatico alla scena; si noti che la climax è realizzata in modo complesso: alla rapidità dei due verbi sdruccioli (dìcono, òdono) si contrappone il ritmo più cadenzato del terzo verbo in forma passiva (e pòi son giù volte); al far l’azione del primo verbo (dicono) si contrappone il subir l’azione degli altri due (odono, son giù volte)."
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"20: l’ampiezza de l’intrare: la spaziosità e quindi l’agevolezza dell’ingresso (al vero e proprio Inferno). Il «facilis descensus Averno» («facile è la discesa nell’Averno») di Virgilio (Aen. VI 126) s’incrocia col «mille additus» di Ovidio («i mille ingressi», in Metam. IV 439) e con la «spatiosa via» dell’evangelista (Matth. VII 13)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine28
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"28 muto: privo. Ma per sinestesia, come in I 60 (con scambio fra sensazione visiva e acustica).
La potente sinestesia e l’efficace insistenza dei suoni cupi (mùto, mugghia) introducono il lettore, a partire dal paragone con la tempesta marina, in quella bufera infernale che è il tratto caratteristico e permanente del secondo cerchio. Qui la legge del contrappasso si realizza per analogia: come in vita i lussuriosi sono stati travolti dalle passioni, così ora sono trascinati senza tregua dalla cupa e rapinosa bufera. La tempesta è sempre stata metafora del prevalere degli istinti («la tempesta della passione»): in questo canto essa trova una grande realizzazione fantastica."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine34
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"34 ruina: rovina. È il primo degli scoscendimenti prodottisi (fra un cerchio e l’altro) per il terremoto alla morte di Cristo (cfr. XII 37-45, XXI 112-114), onde forse i dannati precipitarono dopo il giudizio (e attraverso il quale, è presumibile, D. e Virgilio penetrarono nel secondo cerchio)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine4
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"4 Stavvi… orribilmente: Vi si erge in modo spaventevole. Minosse, figlio di Giove ed Europa, mitico re e legislatore di Creta, già assunto a giudice dell’Ade in Omero e Virgilio (che gli associa il fratello Radamanto), è qui trasformato in demonio e ministro di Dio. Si noti la costruzione sintattica di questo verso chiuso da due verbi (Stavvi, ringhia: e il secondo in rima aspra con cinghia, v. 2, e avvinghia, v. 6) e occupato centralmente dall’avverbio orribilmente che qualifica Minòs, il mostruoso giudice dell’Inferno, in tutta la sua persona."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine40
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"40 stornei: stornelli, storni. – l’ali: soggetto. Le due similitudini col covo degli uccelli (gli storni che volano a schiera larga e fitta, vv. 40-41; le gru che volano in lunga fila) sembrano distinguere due gruppi di anime, quello dei lussuriosi senz’altra connotazione e per quello di coloro che hanno perso la vita per colpa d’amore."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine49
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"49 ombre: dalle anime, quelle dei lussuriosi morti per causa di passione amorosa, «la schiera ov’è Dido» (v. 85). – briga: la bufera stessa, in quanto impeto tormentoso."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine56-57
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"56-57 con una legge dichiarò lecito ogni piacere (i latinisti riflettono direttamente le Historiae di Orosio: «…ut… quod cuique libitum esset, licitum fieret», «affinché divenisse legalmente lecito ciò che per ciascuno fosse oggetto di desiderio») per scansare l’obbrobrio (letteralmente, «togliere il biasimo») in cui era caduta (sembra, fino all’incesto)."
IRI: http://divo.github.io/PQedLine58
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"58 Semiramìs: Semiramide, regina di Assiria (XIV o XIII secolo a.C.), considerata nel Medioevo, sulla scorta di Orosio, «exemplum» di sfrenata dissolutezza. A una sua morte violenta per mano del figlio accenna l’epitome Giustino."
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"6 manda… avvinghia: assegna ai diversi luoghi di pena indicandone l’ordine col rispettivo numero di avvolgimenti della coda (cfr. vv. 10-12). La concisione estrema ha richiesto la successiva spiegazione introdotta da Dico."
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"60 la… corregge: i territori che ora governa (corregge) il sultano d’Egitto. Modo generico per designare regioni asiatiche; c’è chi pensa invece (con terra «città») che D. abbia confuso la Babilonia egiziana (oggi Il Cairo) con quella mesopotamica."
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"61-62 colei… Sicheo: Didone, che s’uccise per amore di Enea dopo aver violato la fedeltà promessa alla memoria del marito. Di lei nell’Eneide, con locuzione qui parafrasata: «non servata fides cineri promissa Sychaeo», «non [ho] serbato la promessa al morto Sicheo» (IV 552)."
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"64-65 Elena… volse: la sposa di Menelao (figlia di Zeus e di Leda, rapita dal troiano Paride), per colpa della quale si ebbe (con la decennale guerra di Troia) un periodo così a lungo luttuoso. Ignaro delle varie leggende, D. credette, forse male interpretando un passaggio di Servio, che Elena fosse morta durante la distruzione di Troia."
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"66 che (vincitore di tanti guerrieri) alla fine combatté con l’amore; e ne fu sconfitto. Nel Roman de Troie di Benoît de Sainte-More (tradotto in volgare già nel Duecento) si narrava come Achille, accecato dalla passione per la figlia di Priamo, Polissena, fosse ucciso a tradimento da Paride."
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"67 Parìs: Paride, figlio di Priamo ed Ecuba, uno dei protagonisti del ciclo troiano. Dopo l’abbandono di Enone, da lui prima amata, cadde colpito dalla freccia di Filottete. – Tristano: cavaliere della Tavola Rotonda, nipote del re Marco di Cornovaglia, è al centro di una delle più affascinanti leggende di amore e morte del ciclo arturiano o bretone. Per effetto di un filtro fu vinto dalla passione per Isotta, sposa dello zio, il quale l’ammazzò a tradimento. – più di mille: molte altre."
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"71 cavalieri: eroi (così designati in omaggio alla visuale anacronistica con cui il Medioevo rivisse storia e leggende classiche). Le donne sono associate ai cavalieri anche nella celebre formula di Purg. XIV 109."
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"72 pietà mi giunse: un turbamento angoscioso mi prese.
-In questa rassegna di eroi morti per amore (ch’amor di nostra vita dipartille) prendono risalto due parole, amore (vv. 66 e 69) e pietà (v. 72), che diventeranno le parole-chiave del canto: in esse cioè si concentreranno la sostanza ideologica e il valore culturale dell’episodio di Paolo e Francesca nell’ambito del più complessivo destino dei morti per amore; attraverso tali parole si potrà valutare il complesso rapporto fra Dante-personaggio e Dante-autore e uomo del suo tempo."
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"74 ‘nsieme: uniti (diversamente da tutti gli altri). Anche di Tristano e Isotta, nella leggenda: «credesi che le anime abbiano un luogo stabilito insieme» o «sì anderà nostra e vostra anima insieme»."
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"8 tutta si confessa: il tutta, predicativo del soggetto, serve a qualificare in posizione forte al centro del verso, messa in risalto dalla pausa della virgola, il verbo si confessa (come prima orribilmente qualificava Stavvi, cfr. v. 4)."
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"80 affannate: tormentate (dalla passione in vita e dalla pena in morte)
-Questo aggettivo, con cui D. affettuosamente chiama i due peccatori, è parola aulica e di origine provenzale (afan): fin da subito l’episodio, che affronta il grande tema della passione, dell’amore e del peccato, è altamente intonato anche dal punto di vista linguistico ed espressivo. Ciò appartiene alla concezione stilistica medievale e alla ripartizione degli stili (alto, medio, basso)."
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"82 disio: istinto amoroso. Il paragone con le colombe, per un verso coerente ai precedenti paragoni con gli storni e le gru, per un altro verso impreziosisce l’episodio mediante la connotazione simbolica della dolcezza dell’amore fedele."
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"87 forte: efficace, potente. – grido: appello (cfr. vv. 80-81). L’affettüoso grido di D. stabilisce una corrispondenza precisa nell’animo di Francesca che ne intende il valore di commossa solidarietà (poi c’hai pietà del nostro mal perverso, v. 93) e ne è spinta ad un augurio (la tua pace) in forma di impossibile preghiera (se fosse amico il re de l’universo, v.91)."
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"9 conoscitor: giudice istruttore e insieme ministro esperto (il «quaesitor Minos» di Virgilio, cioè l’«inquisitore Minosse» che «vitasque et crimina discit», ossia «indaga le vite e le colpe», in Aen. VI 432-433). – peccata: peccati: neutro latino conservatosi come femminile nell’antico italiano."
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"94-95 la perfetta corrispondenza tra udire e parlare del v. 94 e udiremo e parleremo del v. 95 (che è anche incrocio fra il «vostro» udire e il «nostro» parlare, e il «vostro» parlare e il «nostro» udire) è segnale linguistico e sintattico di stile alto."
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"97 Siede: È situata. – terra: città (e la perifrasi allude a Ravenna). Guido da Polenta il Vecchio, che ne fu signore fino al 1310 (anno della sua morte), Francesca vi nacque verso la metà del Duecento. Tra il ‘75 e l’82 andò sposa a Gian Ciotto («zoppo, sciancato») Malatesta, signore di Rimini, per confermare (con un matrimonio politico) la riconciliazione fra le due casate dopo un lungo periodo di lotte. Innamoratasi del cognato Paolo (che D. forse conobbe direttamente a Firenze, dove il Malatesta fu capitano del popolo tra l’82 e l’83), fu dal marito sorpresa e uccisa con l’amante, tra il 1283 e il 1286. Tali le notizie ricavabili dall’episodio dantesco (unica testimonianza antica di quel sanguinoso adulterio), con l’ausilio dei dati cronologici forniti da cronache o documenti d’archivio; il resto (fin dall’Ottimo e dal Boccaccio) non è altro che amplificazione leggendaria o romanzesca, in parte contraddetta dallo stesso racconto di D. (ove Francesca s’innamora dopo le nozze). In ogni caso, il protagonista la riconosce (v. 116) senza che la donna si sia presentata per nome."
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"99 co’… sui: coi suoi affluenti. Si noti che qui si realizza la metafora degli «amanti che desiderano trovar pace», allusione dolorosa alla condizione di eterno tormento in cui Francesca e Paolo si trovano."
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"al primo fallo scritto di Ginevra."
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antonio quaglio
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emilio pasquini
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"Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno. Introduzione al poema, commento e letture di Emilio Pasquini e Antonio Quaglio. 1° edizione, 1988 – Garzanti Editore s.p.a., Milano."
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"Publio Ovidio Nasone"
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"http://viaf.org/viaf/88342447"
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"Publio Papinio Stazio"
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"http://viaf.org/viaf/100904338"
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"Publio Virgilio Marone"
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"http://dbpedia.org/page/Virgil"
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Identifier
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"http://viaf.org/viaf/8194433"
IRI: http://divo.github.io/PurgXXIV66
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"poi volan più a fretta e vanno in filo,"
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"Versi d’amore e prose di romanzi"
IRI: http://divo.github.io/Ravenna
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IRI: http://divo.github.io/RimeCIII,36
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"quella spada ond’elli ancise Dido"
IRI: http://divo.github.io/SanMatteo
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"Matteo Apostolo Evangelista"
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Identifier
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"http://dbpedia.org/page/Matthew_the_Apostle"
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Identifier
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"http://viaf.org/viaf/316749278"
IRI: http://divo.github.io/SapegnoInfEdition
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natalino sapegno
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"Dante Alighieri, La Divina Commedia. Inferno a cura di Natalino Sapegno, Rcs scuola, Milano, 2001"
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"100. Amor, ch’al cor ecc.: Francesca non racconta la sua vicenda e tanto meno la caratterizza nei suoi termini particolari; ché anzi, col richiamarsi a taluni enunciati di dottrina ormai fissati e consacrati in formule universalmente adottate, tende a riportarla a una situazione generica e per così dire impersonale, e generica e per così dire impersonale, e per questa via si sforza di spiegarla e giustificarla, sottraendo l’impulso primo del peccato ad una precisa responsabilità individuale, per trasferirlo sul piano di una forza trascendente e irresistibile: Amore. Di qui l’elaborata struttura del suo discorso; sia dal punto di vista formale, con le sue studiate rispondenze interne e la ripetuta assunzione, in tre momenti, di un medesimo soggetto grammaticale, che non coincide mai col soggetto reale delle azioni espresse (e anzi sembra proporsi di distogliere da questo l’attenzione dell’ascoltatore); sia sul piano concettuale, che, col riportare ciascun atto del dramma a una norma dottrinale dichiarata o sottintesa, trasforma il discorso in una sorta d’incalzante sillogismo, per cui, poste determinate premesse logiche, debba quasi di necessità scaturirne una prevedibile conclusione, indipendentemente dalla volontà dei singoli attori. La prima formula di cui Francesca si serve è un punto della dottrina d’amore, che era stato accolto da ultimo e ribadito da alcuni poeti dello «stil nuovo»: il cuore nobile si apre naturalmente all’amore, e anzi non vi è nobiltà di cuore senza amore; tanto che nelle parole di lei si possono avvertire precisi riecheggiamenti della teorica del Guinizzelli («Al cor gentil ripara sempre Amore») e dello stesso Dante («Amore e ‘l cor gentil sono una cosa»); ma quella dottrina era stata già il presupposto e la ragione determinante di tutta una vastissima letteratura, che va dai romanzi cortesi ai trattati e alla lirica dei trovatori provenzali e dei loro imitatori italiani. Sugli effetti dell’amore, che rende chi si avvicina ad esso nobile e lo adorna di virtù e di buoni costumi, aveva dissertato Andrea Cappellano (De amore, I 4); della sua forza irresistibile e dei suoi rapporti con la cortesia e la gentilezza avevano discorso l’autore del Roman de la Rose e i romanzieri del ciclo arturiano: cfr. anche G. CONTINI, in Approdo letterario, I, 1958. Non a caso Francesca ricollegherà esplicitamente la prima radice della sua passione agli effetti della lettura del romanzo di Lancillotto, uno dei testi più diffusi di quella letteratura particolarmente gradita alle corti e agli ambienti signorili."
IRI: http://divo.github.io/SedLine101
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"101. prese ecc.: fece innamorare costui della mia bellezza fisica. — persona = “corpo”: cfr. Inf., VI, 36; XXI, 97; XXXI, 43; Purg., II, 110; III, 118; XIV, 19; Par., XIV, 44, ecc.; Tristano riccardiano: «vedea… ch’elli perderebbe l’anima e la persona»."
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"102. e ‘l modo ancor m’offende: quasi tutti i commentatori riferiscono l’inciso alla frase immediatamente precedente che mi fu tolta, e vi vedono un’allusione o ad una presunta particolare efferatezza del modo in cui Gianciotto avrebbe ucciso i due amanti, ovvero al carattere repentino di quella morte, che avrebbe tolto ad essi ogni possibilità di pentirsi del loro peccato e li avrebbe quindi dannati per sempre. Ma il parallelismo logico e formale fra questa terzina e la seguente (e, in particolare, tra ancor m’offende e ancor non m’abbandona) richiede che l’inciso sia riferito, anziché alla relativa che immediatamente precede, alla proposizione principale, intendo: «Amore, che trova rapido accesso in cuore gentile, prese costui della bella persona, che mi fu tolta colla violenza, e il modo, l’intensità, di questo amore fu tale che ancora mi offende, mi vince». Di siffatta accezione di offendere, nel senso di “menomare, danneggiare”, si hanno molti esempi nell’uso di Dante (cfr. Inf., II, 45; VII, 71; Purg., XXXI, 12; e in questo stesso canto al v. 109). Questa interpretazione del nesso sintattico, già proposta, fra i commentatori antichi, dal Butti. («il modo di questo amore che fu disordinato e smodato… prima m’offese nel mondo, che ne perdetti l’onestà e poi la vita corporale, e ancora mi offende, imperciò che ora ne perdo la vita spirituale», oppure: «m’offese nel mondo, cioè m’inaverò e ferimmi il cuore, e così ancora m’offende, cioè m’inavera e ferisce ora, che l’amo fortemente») e dal Landino, e fra i moderni, da Moschetti, è stata ora ripresa, con stringente argomentazione, dal Pagliaro (l. cit., pp. 15-19; Saggi di critica semantica, Messina, 1953, pp. 333-53), il quale giustamente insiste sulla rispondenza formale e concettuale fra le due prime terzine del discorso di Francesca: «La proposizione relativa (Amor) ch’a nullo amato amar perdona risponde esattamente alla relativa della prima terzina (Amore) c’al cor gentil ratto s’apprende, e in ambedue i casi la nozione espressa appare in funzione di giustificazione dottrinale del rapporto di amore. Ancora palese è la rispondenza, anch’essa sul piano dottrinario, fra le due proposizioni principali Amor… prese costui della bella persona e Amor… mi prese del costui piacer…; in ambedue i casi la bellezza come generatrice d’amore, secondo i canoni dell’amore cortese e stilnovistico. Infine si ha la rispondenza fra le due frasi e ‘l modo ancor m’offende e (Amor…) ancor non m’abbandona, nelle quali si dichiara che il reciproco amore di una volta vive ancora con la stessa intensità nell’inferno», riflettendosi nel modo stesso della pena che li tiene avvinti per sempre."
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"103. Amor, ch’a nullo ecc.: amore che non tollera (perdona) che chi è amato non riami. La tesi è esposta nel De amore di Andrea Cappellano (reg. 26); ed era vera anche per gli scrittori religiosi, come argomento per dimostrare la necessità di amare Dio; così fra Giordano da Pisa: «Non è nullo che, sentendosi che sia amato da alcuno, ch’egli non sia tratto ad amar lui incontanente»; e santa Caterina: «naturalmente l’anima è tratta ad amare quello da cui sé vede essere amata». E cfr. Purg., XXII, 10-12."
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"104. mi prese: m’innamorò. — costui genitivo. — piacer: bellezza (cfr. Purg., XXXI, 50-52; Par., XXXIII, 33; Rime, LVIII, 7; LXVII, 75, ecc.; e V. BARBI, Con Dante ecc., pp. 124-125). Il Boccaccio e Benvenuto affacciano la possibilità di un’altra interpretazione: «me strinxit ad complacendum isti»; cfr. PAPARELLI, Questioni cit., pp. 160-168."
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"107. Caina ecc.: chi ci uccise a tradimento sarà punito nel fondo dell’indimento sarà punito nel fondo dell’inferno. La lezione Caina, in quanto allude a una delle quattro zone dell’ultimo cerchio, dove son puniti i traditori dei parenti, richiedi che Dante, nel momento in cui scriveva questo canto, avesse già chiara in mente la struttura di tutto il regno infernale; ad un concetto meno determinato, e forse più conforme alla situazione e alla psicologia di Francesca, ci potrebbe la lezione Cain, che pure è attestate da qualche manoscritto"
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"109. offense: travagliate, in vita, dalla passione colpevole, e qui dalla pena che rifà in eterno presente alla loro mente quella colpa."
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"11. cignesa ecc.: non occorre pensare a una coda di spropositata lunghezza (sebbene anche una tale interpretazione non stonerebbe nell’atmosfera grottesca della rappresentazione); basta che Minosse ripeta l’atto del cingersene tante volte di seguito quanti sono i giri che vuol indicare. Così spiegava già il Blanc, e la sua interpretazione è stata ripresa dal Parodi e dal Mazzoni."
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"110. il viso: gli occhi. Il poeta traduce in immediatezza di figura plastica la prolungata intensità della riflessione, a cui è stato condotto dalle parole di Francesca. Questa riflessione investe tutto un sistema di dottrine e inoltre una complessa materia di esperienze psicologiche, anche personali; di qui quello stato di perplessità, da cui si libera a stento, quasi in un lento e faticoso risveglio. Quando risponde, e non subito, al richiamo di Virgilio, le sue prime parole sembrano rivolte più a se stesso che ai presenti e sono come una ricapitolazione commossa di una somma di pensieri e di ricordi; poi rivolge alla donna una domanda, che rivela indirettamente la natura del problema in cui s’appunta, e deve risolversi, quel suo stato di perplessità: il problema, cioè, che investe il rapporto, e la puntuale vicenda del trapasso, fra quei presupposti di una raffinata educazione, in cui nasce e s’esalta il culto del sentimento, e il momento risolutivo che trasforma quella sensibilità diffusa in una precisa volontà peccaminosa."
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"112. Oh lasso: l’espressione aveva acquistato, nell’uso frequente, il valore di un’interiezione generica, analogo a quello che rimane anche oggi in «ohimè», senza cioè un preciso rifemento al soggetto parlante."
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"113. dolci pensier: intorno all’amor: «e in generale, come teoria, e al loro amore, come personale esperienza di turbamenti, di incertezze e di desideri. Cfr. Conv., II, II, 3: «non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto, ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri contrari che lo ‘mpediscano». — disio: fervore di passione."
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"114. al doloroso passo: non al passo della morte, come dai più s’intende; bensì alla colpa, e solo indirettamente alle sue tragiche conseguenze. Il Buti: «al passo dall’amore onesto al disonesto, e dalla fama all’infamia, e dalla vita alla morte»."
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"118. al tempo ecc.: in quella prima fase del sentimento amoroso, quando esso si esprime soltanto in sospiri, e non ancora si manifesta in parole."
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"119. a che e come: per quali indizi e in quale circostanza. — concedette Amore: «Il fondo umano, partecipazione affettiva all’inchiesta si manifesta nella delicatezza dell’espressione che culmina nella musicalità dei nessi dolci sospiri, dubbiosi desiri. Ma l’impianto dottrinario traspare nella rinnovata personificazione di Amore, che si riaccorda al carattere dato poc’anzi da Francesca alla presentazione di sé e di Paolo come succubi della legge del dio» (PAGLIARO, l. cit., pp. 21-22)."
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"12. quantunque: quanti. «Ma contiene in sé idea d’indeterminata quantità, come se dicesse: quanti mai, quanti secondo i casi» (Casini-Barbi). Cfr. Boccaccio, Decam., introd.: «Quantunque volte…. meco penso riguardo»."
IRI: http://divo.github.io/SedLine120
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"120. dubbiosi: «Chiamagli dubbiosi, i desideri degli amati, perciochè, quantunque per molti atti appaia che l’uno ami l’altro, e l’altro l’uno, tuttavia suspicano non sia così come lor pare, insino a tanto che del tutto discoperti e conosciuti sono» (Boccaccio)."
IRI: http://divo.github.io/SedLine121
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"121. Nessun ecc.. la massima è della tradizione stoica ed era stata ripresa, per citare un autore ben noto a Dante, anche da Boezio, De cons. phil., II, p. IV, 2: «in omni adveristate fortunae infelicissimum est genus infortunii fuisse felicem»."
IRI: http://divo.github.io/SedLine123
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"123. ‘l tuo dottore: Virgilio, «il quale e nel principio della narrazione fatta da Enea de’casi troiani a Didone nelle partita d’Enea, assai chiaramente il dimostra». Così spiega il Boccaccio, seguito da molti; Benvenuto e altri intendono invece che Viriglio conosce bene il valore di quella sentenza, perché può paragonare alla sua vita gloriosa di poeta la presente miseria di abitatore del Limbo; il Buti infine: «perché Virgilio era morto com’ella, Francesca, e ricordavasi della vita mondana che reputava felici». Le prime mondana che presuppongono un intervento dotto dello scrittore (del resto non estraneo ai modi danteschi); l’ultima s’adatta meglio, come più semplice, alla situazione e alla psicologia di Francesca."
IRI: http://divo.github.io/SedLine124
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"124. Ma s’a conoscer ecc.: cfr. Aen., II, 10-13: « sed si tantus amor casus cognoscere nostros… Quamquam animus meminisse horret luctuque refugit, Incipiam»."
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"127. leggiavamo: forma arcaica, della prima persona persona plurale dell’imperfetto, nata per l’attrazione analogica dell’a della penultima sillaba, di cui si hanno frequenti esempi nell’ital. antico e anche negli autografi petrarcheschi (cfr. SCHIAFFINI, in Studi dant., XIII, 33). In Dante s’incontra più volte (per es., Inf., XXI, 3; XXIV, 33; Purg., IX, 12)."
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"128. di Lanciallotto: la storia di Lancillotto del Lago, come amor lo strinse, nel punto in cui si narra come l’eroe di innamorasse della regina Ginevra moglie di Artù. Questi romanzi francesi erano ben noti a Dante, o nell’originale ovvero nei numerosi volgarizzamenti (cfr. l’accenno alle « Arturi regis ambages pulcerrime » in De vulg. eloq., I, x, 2; Purg., XXVI, 118; Par., XVI, 15; e in questo canto stesso il ricordo di Tristano)."
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"128. di Lanciallotto: la storia di Lancillotto del Lago, come amor lo strinse, nel punto in cui si narra come l’eroe di innamorasse della regina Ginevra moglie di Artù. Questi romanzi francesi erano ben noti a Dante, o nell’originale ovvero nei numerosi volgarizzamenti (cfr. l’accenno alle « Arturi regis ambages pulcerrime » in De vulg. eloq., I, x, 2; Purg., XXVI,"
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"130. Per più fiate ecc.: in più punti il racconto degli amore di Lancillotto e Ginevra ci fece impallidire e mosse i nostri sguardi l’uno verso l’altro, manifestando e rendendo via via più cosciente il nostro intimo turbamento."
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"133. il disiato riso: « il desiderato allegro volto (di Ginevra)…; o vogliamo intendere la bocca, che più dimostrava il riso che niuna altra parte del volto » (Buti). Riso, nel senso di “bocca”, anche in Purg., XXXII, 5. Nel romanzo francese è Ginevra che Dante tenesse presente una redazione diversa a noi ignota (cfe. CRESCINI, in Studi dant., III, 1921, pp. 5 ss.); ma può anche darsi che egli adattasse volutamente l’episodio romanzesco alle esigenze della vicenda che voleva rappresentare."
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"135. questi ecc.: mentre illumina il caso di Francesca e Paolo sullo sfondo di quello di Lancillotto e Ginevra, il poeta sottolinea l’intensità di questa passione, la sua serietà e la sua violenza, al confronto di quella finzione letteraria: Lancillotto resta un eroe e un amante da romanzo, Paolo tutto tremante è una persona che si muove in un mondo di affetti reali: allo stesso modo al disiato riso di Ginevra (Perifrasi squisitamente poetica), si contrappone, con realismo tutto nuovo di linguaggio, la bocca di Francesca."
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"137. Galeotto ecc.: quel libro adempì a nostro riguardo una funzione analoga a quella che, nel libro appunto, adempiva il siniscalco Galehaut nei rispetti di Lancillotto e Ginevra, stimolandoli a rivelarsi il loro amore."
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"138. quel giorno ecc.: la passione li ha uniti in quel momento fino alla morte, ed oltre. Cfr. Aen, IV, 169-70."
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"140. di pietade: per la pietà di quel pianto, per la tristezza che nasceva dal contemplare quell’infelicità senza scampo. Nel quadro di questa pietà (da intendersi, come s’è detto, nel senso della commozione che accompagna uno stato di perplessità morale e intellettuale) occorre interpretare tutto l’episodio di Francesca, che è il primo grande esempio della poesia “maggiore” di Dante: di quella poesia cioè nasce sempre da una situazione complessa, “problematica”, e si riporta ovunque, sebbene mai in maniera immediata e semplicistica, all’unità della concezione fondamentale del poema. Agli interpreti romantici, che insistono esclusivamente sull’umana compassione del poeta per i due amanti infelici, sfugge alla reale matura della reazione psicologica del personaggio di Dante, il quale dal caso di Francesca e di Paolo è condotto a riesaminare e misurare la validità di tutta una posizione sentimentale e culturale, della quale anch’egli ha lungamente accolto le ambigue soluzioni. Ne deriva una situazione non univoca appunto, ma complessa, non statica, ma drammatica. Proiettato nell’animo del pellegrino, l’incontro con i due dannati prende l’aspetto di un’esperienza che vuol dire anzitutto un acquisto: la liberazione da un errore. La conferma e il chiarimento di una verità morale già confusamente posseduta. Il senso totale dell’episodio non può esaurirsi nella illustrazione dello stato d’animo di questo o quello degli attori che vi partecipano, non nella passione di Francesca e soltanto nella perplessità del personaggio Dante, ma si illumina, appunto, drammaticamente, in quell’incontro di un’anima vinta dal peccato con un’anima che anela a vincere le condizioni del peccato, e nel giudizio etico, sottointeso ed implicito, ma sempre presente, del Dante poeta che crea i suoi personaggi e sta al di sopra di essi. Da questo giudizio etico astrae chi nella pagina appunta la sua attenzione esclusivamente sulla figura di Francesca e ne fa una sorta di eroina compatita e redenta dall’umana pietà dello scrittore. Cominciò il Foscolo, scrivendo a proposito di questo episodio: “la colpa è purificata dall’ardore della passione, e la verecondia abbellisce la confessione della libidine; e in tutti quei versi la compassione pare l’unica musa”; e da queste sue parole trasse in seguito lo spunto la lunga serie delle interpretazioni in senso romantico, da quella del De Santics fino alle più recenti (e tutte importanti per abbondanza e acume di notazioni particolari) del Parodi, del Barbi, del Pagliaro. Ma Francesca non è un’eroina e nel ritrarla Dante insiste se mai sulla sua femminile debolezza e su suo bisogno costante di giustificazione e di compatimento. La “fatalità” della passione” è nella donna peccatrice un motivo che le si porge naturale come mezzo di discolpa; è nel pellegrino che l’interroga il dato di una teoria acquisita e corrente, di cui è portato a rivedere l’attendibilità alla luce delle sue conseguenze reali e terribili; ma non può essere il criterio del Dante che giudica e punisce e alla stregua del quale sia lecito fondare una coerente interpretazione della sua creazione poetica.
E si intende che Francesca non è neppure, nelle pagine dell’Alighieri, il paradigma di un concetto, ma una creatura viva: il “problema” è tutto risolto in una sintesi fantastica. È proprio della poesia di Dante, nei suoi momenti più alti, questa capacità di conservare intatta, pur nella fedeltà sostanziale all’assunto etico e strutturale, l’umanità complessa e appassionata delle sue creature; per cui nell’intelaiatura tutta medievale e cattolica del poema viene a confluire una così ricca e varia materia di passione umana, di vizi e valori terreni, dominanti e contenuti, ma non mai repressi o soppressi. Fra i più recenti contributi critici, vedi: M. Marcazzan, Il canto V dell’ Inferno, Firenze 1961; L. Caretti, il Canto V dell’Inferno, Firenze 1967; V. Russo, Sussidi, cit., pp. 33-70; R. Rodel, op, cit., pp. 73-90."
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"15. dicono: le loro colpe, e odono la sentenza. — volte: precipitate. Immediatamente, in virtù del gesto solo di Minosse."
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"2.Nel secondo: cerchio, dove son puniti i lussuriosi. Con spontanea naturalezza, a mano a mano che le vicende del viaggio gliene forniscono l’occasione, il poeta accenna alle particolarità della conformazione che egli ha attribuito ai regni d’oltretomba; crea insomma, ad un tempo e con un solo atto, il suo mondo poetico e la struttura geometrica che lo sorregge. L’inferno è dunque una voragine, in figura di cono irregolare, costituita da ripiani a ciglioni circolari che si vengono via via restringendo. — men luogo cinghia: cinge, racchiude minore spazio, rispetto al precedente, ma più dolor, una pena più tormentosa."
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"20. l’ampiezza dell’entrare: cfr. Aen., VI, 126: «facilis descensus Averno»; Ovidio, Metam., IV, 439-40: «mille capax aditus et apertas undique portas Urbs (Ditis) habet»; e Matteo, VII, 13: «Spatiosa via quae ducit ad perditionem»."
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"21. pur gride: perché seguiti a gridare. Pur non ha qui il valore di “solamente”, come quasi sempre altrove; indica soltanto la continuità dell’azione espressa dal verbo, come in Vita nuova, XXIII, 22: «mi dicean pur», in. Inf., XXIX, 4: «perché pur guate?», ecc."
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"25. Ora incomincian ecc.: dopo l’intermezzo del Limbo, riprende la situazione di Inf., III, 22-30. — note: voci."
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"27. mi percuote: colpisce l’organo dell’udito, in modo improvviso e inaspettato. Qui la rappresentazione del tormento dei dannati è vista in quanto si riflette sui sensi e sull’anima del poeta; in forma più soggettiva che oggettiva. Per percuotere, cfr. nota a Inf., VIII, 65."
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"28. muto: privo. È una ripresa di Inf., IV ì, 151, e, quanto all’immagine, di Inf., I, 60. «L’atmosfera propria del cerchio è quella di una bufera che rombi in un luogo chiuso. Il dato acustico di questo mugghiare continuo, come quello del mare in tempesta sotto l’impeto di venti avversi, è dominante al punto che anche l’oscurità viene acusticamente intrepretata» (PAGLIARO, l. cit., p. 6)."
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"32. rapina: forza travolgente. La pena inflitta ai lussuriosi rivela evidente il suo contrappasso (cfr. Inf., XXVIII, 142), e cioè la sua corrispondenza, che può essere per analogia o per contrasto, con il peccato. Essa è quasi l’oggettivazione di un traslato psicologico fra i più comuni: nel turbine che travolge le anime si riflette la furia della passione che le trascinò in vita a peccare."
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"34. ruina: qualcuno crede che qui Dante alluda alla «foce», dalla quale spira il turbine di vento, il quale da quel punto via via digrada fino a toccare una zona di «relativa calma» (così, per es., il PARODI, in Bull. Soc. dant., XXIII, 13); e già il Boccaccio e altri commentatori spiegavano ruina come l’avvolgimento causato dalla bufera. Tale interpretazione è però piuttosto ingegnosa che persuasiva. Ruina ha di solito, nel linguaggio dantesco, il senso di “frana, scoscendimento di rocce” (Inf., XII, 32; XXIII, 137); e questo giustifica l’opinione di chi pensa che Dante qui alluda piuttosto a uno di quei luoghi franosi, per cui egli scende talora da un cerchio all’altro prodotti, come altrove spiegherà, dal terremoto che si avverò al momento della morte di Gesù (cfr. Inf., XII, 37-45; XXI, 112-15). Se si ammette che per una siffatta ruina le anime dei lussuriosi fossero state volte giù dopo la sentenza di Minosse, diventa chiaro l’acuirsi in quel punto della loro disperazione: «è qui che essi avvertono di nuovo più viva e attuale la presenza del potere divino, che si è esercitato nella loro condanna, e perciò con rinnovata veemenza lo bestemmiano» (PAGLIARO, l. cit. p. 7)."
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"37. Intesi: probabilmente da Virgilio. Altri spiega: compresi da solo, senza bisogno di spiegazione. Dalla qualità stessa della pena."
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"38. enno: sono. Forma ancor viva nei dialetti toscani, formata per analogia su è: cfr. Purg., XIII, 97; XVI, 12."
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"39. sommettono: sottomettono. — talento: appetito, passione. La stessa contrapposizione, del resto ovvia, della ragione al desiderio, in Vita nuova, XXXIX, 2. E si noti che essa definisce, non tanto specificamente la lussuria, quanto ogni peccato di incontinenza; sebbene la formula si applichi poi più spesso e dai più proprio alla natura travolgente e alla furia insana della passione d’amore."
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"4.Minòs: il mitico re di Creta, figlio di Giove e d’Europa. In funzione di giudice infernale è rappresentato da Virgilio (Aen., VI, 432-33: «ille silentum Conciliumque vocat vitasque et crimina discit»), Dante anche qui accoglie, dalla tradizione classica, il personaggio, con la funziona che lo caratterizza di confessore e di magistrato, ma lo trasforma, con robusta e quasi popolaresca fantasia di uomo del medioevo, in una potenza demoniaca, con tratti mostruosi e grotteschi, che per altro non gli tolgono grandezza. «Il verbo posto al principio, con quel raddoppiamento della consonanza iniziale dell’enclitica, e l’avverbio, orribilmente, che segue e quasi qualifica predicativamente il nome, costruiscono l’immagine di una massa che desta riverenza e orrore, e che diventa viva solo nel ringhio che ne intaglia la faccia» (PAGLIARO, Il c. V del Inf., Roma, 1952, p. 3)."
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"43. li: pleonastico, riferito a spiriti mali. Che il verso 43 non debba intendersi staccato dal precedente (come fanno coloro che metton due punti dopo mali) è stato dimostrato con ottimi argomenti dal Barbi (Con Dante e coi suoi interpreti, Firenze, 1941, pp.306-310; cfr. L. CARETTI, Il canto di Francesca, Lucca 1951, p. 49; PAGLIARO, l. cit., p. 32); meglio tuttavia intendere li come pronome e non li come avverbio (secondo la lettura del Vandelli), perché un altro monosillabo accentato, dopo i quattro che precedono, romperebbe, con una pausa fastidiosa, il ritmo travolgente del verso. — Tutta la similitudine tende a rilevare, attraverso il volo mobile e irregolare degli stornelli per entro alla schiera larga e piena, il moto turbinoso delle anime in seno alla bufera di vento."
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"46. E come i gru ecc: la similitudine deriva da Virgilio, Aen., X, 264-66 e da Stazio, Theb., V. 13-14. I più l’intendono come riferita a tutta la folla delle anime e perciò limitano, in questo caso, il paragone alle grida lamentose delle gru ai guai dei dannati. Così spiegava già, tra gli altri, il Landino: «come per la comparazione degli stornei espresse la moltitudine e la velocità degli spiriti, così per le gru significa i lamenti loro… Non dice che gli spiriti volassino facendo di sé lunga riga, perché di sopra ha dimostrato che volavano in turba come gli stornei, ma dice che volavano cantando lor lai, come le gru quando volgando fanno di sé lunga riga». Altri pensarono (e la loro interpretazione elimina un’incongruenza e superfluità nel testo poetico) che Dante distingua qui, nella folla dei lussuriosi, una particolare schiera di anime, che procedono in fila come le gru (cfr. Purg., XXIV, 66), e saranno le anime di coloro che morirono per causa d’amore. Anche l’uso di ombre al v. 49 senza articolo determinativo (ombre = alcune ombre; per indicarle tutte, avrebbe dovuto dire le ombre) sembra confortare questa seconda interpretazione (cfr. PORENA, La mia Lectura Dantis, Napoli, 1932, pp. 70-71; PAGLIARO, l. cit., p. 9). — lai: qui, e in Purg., XI, 13, questo vocabolo è adoperato da Dante, al plurale, nel senso di “canto lamentoso d’uccelli”. La parola, d’origine celtica, indicava propriamente nelle lingue del territorio gallico un componimento lirico e musicale; ma già nell’ant. francese, e nel provenzale più spesso, si trova usata per signigicare il canto degli uccelli. Dopo Dante, in Italia prevalse il valore di “lamento” (cfr. F. NERI, in Atti Accad. Di Torino, LXII, 1936-37)."
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"47. facendo…. riga: «però che vanno in ordine l’una dietro all’altra» (Buti). Nel volgarizzamento del Tesoro di Brunetto Latini è detto: «Gru sono una generazione d’uccelli che vanno a schiera, come cavalieri che vanno in battaglia». Diversamente interpretava il Boccaccio: «Perciochè stendono il collo, il quale essi hanno lungo innanzi, e le gambe, le quali similmente hanno lunghe, e così fanno di sé lunga riga»."
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"49. briga: la bufera. Briga sta, in genere, per “assalto, lotta, pena, impedimento”: cfr. Purg., VII, 55; XVI, 117; Par., VIII, 69; XII, 108."
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"54. molte favelle: molti popoli, che usavano diverse lingue. Da Orosio Dante sapeva che Nino e Semiramide avevano tentato la conquista del mondo e assoggettata tutta l’Asia (cfr. Mon., II, VIII, 3). Semiramide, regina degli Assiri nel XIV o XIII sec. a. C., è presentata, da tutti gli scrittori medievali, come esempio tipico di lussuria sfrenata. Dante dipende,come s’è detto, da Paolo Orosio, Hist., I, 4: «Huic (Nino) mortuo Semiramis uxor successit…. Haec libidine ardens, sanguinem sitiens, inter incessabilia stupra et homicidia, quum omnes quos regiae arcessitos, meretricis habitu, concubito, oblectasset, occideret, tandem filio flagitiose concepto, impie exposito, inceste cognito, privatam ignominiam publico scelere obtexit. Praecepit enim ut inter parentes ac filios nulla delata reverentia naturae de coniugiis adpetendis, quod cuique lilbitum esset, licitum fieret»."
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"56. libito fe’ licito: dichiarò lecito, premesso dalla legge, ciò che a ciascuno piacesse; per legittimare il suo amore incestuoso per il figlio. Traduce letteralmente le parole citate di Orosio."
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"6.Giudica e manda: cfr. Aen., VI, 567 (a proposito di Radamanto, l’altro giudice infernale): «castigatque auditque dolos subigitque fateri». — manda significherà: “stablisce le pene, indicando il luogo assegnato a ciascun peccatore”. — secondo ch’avvinghia: secondo il numero degli avvolgimenti della sua coda, come spiega subito dopo."
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"60. tenne: governò. — che ‘l Soldan ecc.: che ora regge il sultano. Il Soldano era, ai tempi di Dante, il sovrano dell’Egitto, che estendeva la sua potenza anche su una parte dell’Asia occidentale, ma non certo su tutte e neppure sulle più importanti regioni che appartennero all’impero di Semiramide. È possibile che qui terra sia da intendere nel senso di “città” e che Dante confondesse, come spesso avveniva negli scrittori del suo tempo, fra la Babilonia mesopotamica, capitale del regno assiro, e quella egiziana, che sorgeva dove ora è il Cario."
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"61. colei: Didone, che si uccise quando fu abbandonata da Enea, per amore del quale era venuta meno alla promessa di serbarsi fedele alla memoria del marito Sicheo. La leggenda dei suoi rapporti con Enea, che Dante leggeva e ammirava in Virgilio, era intesa allegoricamente nel medioevo come un esempio degli ostacoli che il magnanimo incontra e deve sforzarsi di superare, allorchè si propone di «seguire onesta e laudabile via e fruttuosa» (Conv., IV, XXVI, 8). Il suo suicidio è rievocato con parole non dissimili in Rime, CIII, 36. Qui il v. 62 traduce Aen., IV 552: «non servata fides cineri primissa Sychaeo»."
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"63. Cleopatràs: la regina d’Egitto, amica di Cesare e poi di Antonio, suicida per non cader prigioniera di Ottaviano. Sulla sua morte «subitana ed atra», cfr. Par., VI, 76-78. Qui è citata, accanto a Semiramide, come esempio tradizionale di lussuria."
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"64. Elena: per causa della quale tanto reo tempo si volse, sorse cioè la guerra di Troia, durata così a lungo e con tanti lutti."
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"65. Achille: di cui si narrava, nelle redazione medievali della leggenda troiana, che si fosse innamorato follemente di Polissena, figlia di Priamo, e per questo amore si lasciasse trarre in un agguato, dove fu ucciso a tradimento (cfr. anche Ovidio, Metam., XIII, 448)."
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"67. Parìs: Paride, il rapitore di Elena. — Tristano: il celebre personaggio del ciclo arturiano, che innamoratosi di Isotta, moglie di suo zio Marco, re di Cornovaglia, fu ucciso da quest’ultimo. — più di mille: moltissime altre. Indica un numero grande, ma indeterminato, come in Inf., VIII, 82."
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"69. ch’amor ecc.: che l’amore condusse a morte. Oltre Cleopatra e Didone che si uccisero, Achille e Tristano morti a tradimento rispettivamente da Paride e da re Marco; una notizia contenuta nell’epitome di Giustino afferma che Semiramide fosse uccisa dal giglio di cui s’era innamorata; di Elena narra una leggenda che morisse per mano di una donna greca, che volle così vendicare il marito caduto nella guerra troiana; e Paride fu spento da Filottete. Non sappiamo però fino a che punto, e per quali vie, Dante fosse informato di talune almeno delle leggende qui riferite. E forse la sua espressione deve essere intesa in senso generico: “anime, la cui esistenza fu tutta riempita e determinata, e alla fine travolta, dalla passione d’amore”."
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"7.Mal nata: nata per sua sventura. Nel senso di “dannato”, Dante usa questo vocabolo già nella Vita nuova, XIX, 8, e poi spesso (Inf., XVIII, 76; XXX, 48, ecc.)."
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"70. dottore: qui e al v. 123 è da intendere nel senso più naturale di “maestro” (doctor), e non in quello di “guida” (ductor)."
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"71. cavalieri: eroi. E di fatto, nelle compilazioni medievali del ciclo classico, gli antichi guerrieri sono chiamati e si atteggiano nei costumi e nelle gesta come cavalieri dei romanzi carolingi e arturiani."
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"72. pietà: non è da intendere nel senso di compassione, simpatica (come nelle interpretazioni che di questo canto famoso diedero già, nel quadro di una sensibilità prettamente romantica, il Foscolo e il De Sanctis, seguiti da molti fra i commentatori moderni); bensì nel senso di turbamento, che nasce dalla considerazione delle terribili conseguenze del peccato. E si intende che, trattandosi qui di una colpa che ha la sua prima origine in un sentimento naturalissimo, ed esaltato per giunta da una lunga tradizione poetica (che risale ad Ovidio e si distende per infiniti rami nella letteratura medievale, fino allo «stil nuovo»), e trovandosi tra questi peccatori molti personaggi celebrati dalla poesia e aureolati dalla leggenda, il turbamento implica anche una sfumatura di sofferenza e di segreta tormentosa inquietudine, che non importa comunque mai da parte di Dante un atteggiamento di adesione e di compartecipazione e non attenua in nessun modo la recisa condanna morale. Nella stessa accezione di “turbamento, tristezza”, si deve intendere pietà, in Inf., II, 4; IV, 21; V, 93 e 114 (pietà, nel senso di “angoscia, turbamento”, anche in Rime, CV, 2; LXVII, 3). — mi giunse: mi prese. — quasi smarrito: «cioè alienato da’ sensi e dalla ragione», come spiega il Buti; che sottilmente aggiunge: «e dice quasi perché non fu al tutto… Ben che si dolesse della dannazione di coloro, non si dolse che non volesse che fossono dannati, ma dolsesi che avrebbe voluto che non avessero peccato»"
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"74. ‘nsieme: accoppiati, a differenza di tutte le altre anime, che vanno sole. Questo fatto singolare richiama l’attenzione del pellegrino, insieme con l’alto della leggerezza, con cui questa coppia di anime si abbandona al movimento vorticoso della bufera. I due peccatori vanno uniti e si concedono docili al vento, perché in essi sopravvive, e li domina, come tutti gli altri del resto, ma, si direbbe, in minor misura, la passione alla quale cedettero da vivi: amore, che li precipitò in una colpa comune, li guida ancora e li tiene avvinti in un comune tormento (cfr. v. 78). In essi, cioè, si attua, con maggior rigore, il contrappasso. E si noti che già alcuni dei commentatori antichi videro nella singolarità di questa condizione un aggravamento della pena: «la leggerezza si dimostra dalla velocità. Erano più veloci, perché erano più tirati dal vento, cioè avevano maggior pena, la qual meritavano per esser cognati e in gran stato, perché queste due circostanze aggravavano il peccato» (Landino, Vellutello)."
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"78. i mena: li conduce. I per li è frequente nell’ital. antico e anche in Dante (Inf., VI, 87; VII, 53; XVIII, 18; Par., XII, 26, ecc.)."
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"80. affannate: tormentate. In vita, dalla passione; e qui, dalla giustizia divina. Affanno vale sempre, in Dante “tormento, fatica” (cfr. Purg., XXVIII, 95; Par., IV, 111; XVIII, 84; in Purg., XIV, 109 è contrapposto a agio) e anche più specificamente “pena infernale” (Inf., IV, 58). Non è il caso di vedere qui, nell’epiteto usato da Dante, una particolare sfumatura di pietà."
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"82. quali colombe ecc.: cfr. Aen., VI, 190-92 «vix ea fatus erat, geminae cum forte columbae Ipsa sub ora viri caelo venere volantes et viridi sedere solo»; V, 213-17: «qualis spelunca subito commota columba, Cui domus et dulces latebroso in pumice nidi, Fertur in arva volans… mox aere lapsa quito Radit iter liquidum celeris neque commovet alas»."
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"83. alzate: spiegate. La lezione aperte è da considerare meno probabile: perché più difficilmente da essa si sarebbe potuto passare all’altra."
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"86. per l’aere maligno: per l’aria dell’inferno (cfr. nota a Inf., III, 107), contrapposta all’aere aperto e luminoso in cui si muovon le colombe. Maligna è inoltre, quell’aria mossa della bufera, rispetto ai due dannati, «che quivi tormentati erano» (Boccaccio)."
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"87. sì forte: così potente, proprio perché affettuoso, e cioè mosso da un sentimento così intenso. E infatti subito Francesca vi scorgerà la presenza di un interesse grazioso e benigno, non altezzoso, anzi umile e per così dire riguardoso, alla sua persona e al suo destino."
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"89. perso: tenebroso. Cfr. Conv., IV, xx, 2: «perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina»; e Inf., VII, 103; Purg.; IX, 97."
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"9. conoscitor: è termine tecnico del linguaggio giuridico, nel senso di “giudice che istruisce il processo”. — peccata: è uno dei tanti plur. Neutri latini, rimasti nell’italiano antico, e trasportati per lo più al femminile"
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"9. conoscitor: è termine tecnico del linguaggio giuridico, nel senso di “giudice che istruisce il processo”. — peccata: è uno dei tanti plur. Neutri latini, rimasti nell’italiano antico, e trasportati per lo più al femminile"
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"90. di sanguigno: col nostro sangue (uccisi o suicidi) e con l’altrui (in quanto la nostra passione fu causa di guerre e lutti). L’espressione deve intendersi riferita a tutte le anime della schiera ov’è Dido, e non solo alle due cui s’è rivolto Dante."
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"91. amico: per la. Pregar Dio della pace era formula consueta pietoso e misericordioso verso di noi, dannati; mentre invece è sordo alle nostre invocazioni."
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"92. della: per la. Pregar Dio della pace era formula consuta di saluto: cfr. Purg., XXI, 13; Decam., IX, VIII, 33. «Questa preghiera condizionata, che dal fondo dell’inferno manda a Dio un’anima condannata, è uno de’ sentimenti più fini e delicati e gentili, colto da vero» (De Sanctis)."
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"96. mentre che: finché, — si tace: soffia con minore impeto e fragore. Nel mugghio della bufera c’è un ritmo alterno di pause e di riprese, di maggiore e minore intensità; e in una di queste pause d’inserisce il dialogo tra Francesca e Dante. È l’interpretazione del Pagliaro (e già del Magalotti: «il vento non soffia con sibilo continuato sì come corrono i fiumi, ma a volta a volta ricorre, come fanno l’onde marine»); sembra la più aderente al testo e alla situazione immaginata dal poeta; e pur lascia qualche dubbio. Altri legge ci tace; o intendendo ci come avverbio di luogo (= qui) e supponendo che il punto dove si svolge il colloquio sia al riparo della bufera (cfr. BARBI, Probl., I, 263-64); oppure prendendo la particella come pronome (= a noi, per noi) e ammettendo che per un decreto misterioso della Provvidenza quel luogo sia temporaneamente risparmiato dall’impeto del vento, onde consentire a Dante di parlare con Francesca. Sennonché il supporre tale infrazione di una legge eterna sembra poco opportuno; e, per un altro verso, l’uso antico di ci come avverbio di luogo è attestato nel linguaggio di Dante, sia nel poema che nelle rime, quasi sempre solo in funzione pleonastica."
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"97. la terra: la città: Ravenna. Chi parla è Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna. Gli antichi commentatori riferiscono che essa andò sposa, poco dopo il 1275, a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, «rustico uomo», zoppo e deforme. Il matrimonio, stipulato per sancire la pace ristabilita dopo lunghe contese fra i due potentati, era dettato da ragioni meramente politiche. Innamoratasi poi Francesca di Paolo, fratello di Gianciotto, entrambi furono sorpresi e trucidati dal marito offeso. Dell’avvenimento, che dovette aver luogo fra il 1283 e il 1285 (e di cui non è cenno nei cronisti contemporanei), il Boccaccio e l’Anonimo fiorentino forniscono una versione più ampia, con particolari evidentemente romanzeschi, tra i quali la notizia che alla donna si fosse dato a credere che il futuro marito sarebbe stato appunto Paolo, e non Gianciotto: leggenda senza dubbio escogitata per attenuare la sua colpa, ma è ignorata, e anzi contraddetta, dal racconto di Dante, dove Francesca dichiara d’essersi innamorata non prima, bensì dopo le nozze."
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"98. sulla marina: sul litorale dell’Adriatico. Ravenna era allora vicino al mare assai più che oggi non sia; bagnata da due rami del Po (Badoreno e Padenna) e poco lontana dal Po di Primaro."
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"par ne sfavilli la gran selva ed arda./
Sì dal tepido Egitto, ove le nevi"
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"e che dirà ne lo inferno: O mal nati,"
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"Appresso ciò per pochi dì, avvenne che in alcuna parte de la mia persona mi giunse una dolorosa infermitade, onde io continuamente soffersi per nove dì amarissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che me convenia stare come coloro li quali non si possono muovere. Io dico che ne lo nono giorno, sentendo me dolere quasi intollerabilmente, a me giunse uno pensero, lo quale era de la mia donna. E quando èi pensato alquanto di lei, ed io ritornai pensando a la mia debilitata vita; e veggendo come leggero era lo suo durare, ancora che sana fosse, sì cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria. Onde, sospirando forte, dicea fra me medesimo: «Di necessitade convene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia». E però mi giunse uno sì forte smarrimento, che chiusi li occhi e cominciai a travagliare sì come farnetica persona ed a imaginare in questo modo; che ne lo incominciamento de lo errare che fece la mia fantasia, apparvero a me certi visi di donne scapigliate, che mi diceano: «Tu pur morrai»; e poi, dopo queste donne, m'apparvero certi visi diversi e orribili a vedere, li quali mi diceano: «Tu se' morto». Così cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello ch'io non sapea ove io mi fosse; e vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente triste; e pareami vedere lo sole oscurare, sì che le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero; e pareami che li uccelli volando per l'aria cadessero morti, e che fossero grandissimi terremuoti. E maravigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, imaginai alcuno amico che mi venisse a dire: «Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo». Allora cominciai a piangere molto pietosamente; e non solamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandoli di vere lagrime. Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d'angeli li quali tornassero in suso, ed aveano dinanzi da loro una nebuletta bianchissima. A me parea che questi angeli cantassero gloriosamente, e le parole del loro canto mi parea udire che fossero queste: Osanna in excelsis; ed altro non mi parea udire. Allora mi parea che lo cuore, ove era tanto amore, mi dicesse: «Vero è che morta giace la nostra donna». E per questo mi parea andare per vedere lo corpo ne lo quale era stata quella nobilissima e beata anima; e fue sì forte la erronea fantasia, che mi mostrò questa donna morta: e pareami che donne la covrissero, cioè la sua testa, con uno bianco velo; e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d'umilitade che parea che dicesse: «Io sono a vedere lo principio de la pace». In questa imaginazione mi giunse tanta umilitade per vedere lei, che io chiamava la Morte, e dicea: «Dolcissima Morte, vieni a me, e non m'essere villana, però che tu dèi essere gentile, in tal parte se' stata! Or vieni a me, che molto ti desidero; e tu lo vedi, ché io porto già lo tuo colore». E quando io avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri che a le còrpora de li morti s'usano di fare, mi parea tornare ne la mia camera, e quivi mi parea guardare verso lo cielo; e sì forte era la mia imaginazione, che piangendo incominciai a dire con verace voce: «Oi anima bellissima, come è beato colui che ti vede!». E dicendo io queste parole con doloroso singulto di pianto, e chiamando la Morte che venisse a me, una donna giovane e gentile, la quale era lungo lo mio letto, credendo che lo mio piangere e le mie parole fossero solamente per lo dolore de la mia infermitade, con grande paura cominciò a piangere. Onde altre donne che per la camera erano, s'accorsero di me, che io piangea, per lo pianto che vedeano fare a questa; onde faccendo lei partire da me, la quale era meco di propinquissima sanguinitade congiunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi, credendo che io sognasse, e dicèanmi: «Non dormire più» e «Non ti sconfortare». E parlandomi così, sì mi cessò la forte fantasia entro in quello punto ch'eo volea dicere: «O Beatrice, benedetta sie tu»; e già detto avea «O Beatrice», quando riscotendomi apersi li occhi, e vidi che io era ingannato. E con tutto che io chiamasse questo nome, la mia voce era sì rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi potero intendere, secondo il mio parere; e avvegna che io vergognasse molto, tuttavia per alcuno ammonimento d'Amore mi rivolsi a loro. E quando mi videro, cominciaro a dire: «Questi pare morto», e a dire tra loro: «Procuriamo di confortarlo»; onde molte parole mi diceano da confortarmi, e talora mi domandavano di che io avesse avuto paura. Onde io essendo alquanto riconfortato, e conosciuto lo fallace imaginare, rispuosi a loro: «Io vi diròe quello ch'i' hoe avuto». Allora, cominciandomi dal principio infino a la fine, dissi loro quello che veduto avea, tacendo lo nome di questa gentilissima. Onde poi sanato di questa infermitade, propuosi di dire parole di questo che m'era addivenuto, però che mi parea che fosse amorosa cosa da udire; e però ne dissi questa canzone: Donna pietosa, e di novella etate, ordinata sì come manifesta la infrascritta divisione.
Donna pietosa, e di novella etate,
adorna assai di gentilezze umane,
che era là 'v'io chiamava spesso Morte,
veggendo li occhi miei pien di pietate,
e ascoltando le parole vane,
si mosse con paura a pianger forte;
E altre donne, che si fuoro accorte
di me per quella che meco piangia,
fecer lei partir via,
e appressârsi per farmi sentire.
Qual dicea: «Non dormire»,
e qual dicea: «Perché sì ti sconforte?»
Allor lassai la nova fantasia,
chiamando il nome de la donna mia.
Era la voce mia sì dolorosa
e rotta sì da l'angoscia del pianto,
ch'io solo intesi il nome nel mio core;
e con tutta la vista vergognosa
ch'era nel viso mio giunta cotanto,
mi fece verso lor volgere Amore.
Elli era tale a veder mio colore,
che facea ragionar di morte altrui:
«Deh, consoliam costui,»
pregava l'una l'altra umilemente;
e dicevan sovente:
«Che vedestù, che tu non hai valore?»
E quando un poco confortato fui,
io dissi: «Donne, dicerollo a vui.
Mentr'io pensava la mia frale vita,
e vedea 'l suo durar com'è leggero,
piànsemi Amor nel core, ove dimora;
per che l'anima mia fu sì smarrita,
che sospirando dicea nel pensero:
- Ben converrà che la mia donna mora! -
Io presi tanto smarrimento allora,
ch'io chiusi li occhi vilmente gravati,
e furon sì smagati
li spirti miei, che ciascun giva errando;
e poscia imaginando,
di conoscenza e di verità fora,
visi di donne m'apparver crucciati,
che mi dicean pur: - Morràti, morràti -.
Poi vidi cose dubitose molte,
nel vano imaginare ov'io entrai;
ed esser mi parea non so in qual loco,
e veder donne andar per via disciolte,
qual lagrimando, e qual traendo guai,
che di tristizia saettavan foco.
Poi mi parve vedere a poco a poco
turbar lo sole ed apparir la stella,
e pianger elli ed ella;
cader li augelli volando per l'âre,
e la terra tremare;
ed omo apparve scolorito e fioco,
dicendomi: - Che fai? Non sai novella?
morta è la donna tua, ch'era sì bella -.
Levava li occhi miei bagnati in pianti,
e vedea (che parean pioggia di manna)
li angeli che tornavan suso in cielo,
ed una nuvoletta avean davanti,
dopo la qual gridavan tutti: Osanna;
e s'altro avesser detto, a voi dirèlo.
Allor diceva Amor: - Più nol ti celo;
vieni a veder nostra donna che giace. -
Lo imaginar fallace
mi condusse a veder madonna morta;
e quand'io l'avea scorta,
vedea che donne la covrìan d'un velo;
ed avea seco umilità verace,
che parea che dicesse: - Io sono in pace. -
Io divenia nel dolor sì umile,
veggendo in lei tanta umiltà formata,
ch'io dicea: - Morte, assai dolce ti tegno;
tu dèi omai esser cosa gentile,
poi che tu se' ne la mia donna stata,
e dèi aver pietate e non disdegno.
Vedi che sì desideroso vegno
d'esser de' tuoi, ch'io ti somiglio in fede.
Vieni, ché 'l cor te chiede.-
Poi mi partìa, consumato ogne duolo;
e quand'io era solo,
dicea, guardando verso l'alto regno:
- Beato, anima bella, chi te vede! -
Voi mi chiamaste allor, vostra merzede.»
Questa canzone ha due parti: ne la prima dico, parlando a indiffinita persona, come io fui levato d'una vana fantasia da certe donne, e come promisi loro di dirla; ne la seconda dico come io dissi a loro. La seconda comincia quivi: Mentr'io pensava. La prima parte si divide in due: ne la prima dico quello che certe donne, e che una sola, dissero e fecero per la mia fantasia, quanto è dinanzi che io fossi tornato in verace condizione; ne la seconda dico quello che queste donne mi dissero, poi che io lasciai questo farneticare; e comincia questa parte quivi: Era la voce mia. Poscia quando dico: Mentr'io pensava, dico come io dissi loro questa mia imaginazione. Ed intorno a ciò foe due parti: ne la prima dico per ordine questa imaginazione; ne la seconda, dicendo a che ora mi chiamaro, le ringrazio chiusamente; e comincia quivi questa parte: Voi mi chiamaste."
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"Amore e ‘l cor gentil sono una cosa"